Delos 11: John Brunner
Un brindisi con John Brunner
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Un ricordo, soprattutto umano, del grande autore inglese scomparso lo scorso agosto.
di Leonardo Chiesi e Massimo TassiPer gentile concessione della rivista Yorick
Un boccale ricolmo fino all'orlo troneggia in una mano, la pronuncia è di chi considera Bacco alla stregua di un bonario mattacchione, il volto rubicondo, quasi paonazzo. Un aspetto certo non incline al perfetto manuale del bon-ton, ma ad una gola assetata non si comanda.
Chissà, sarà per le centinaia d'infernali chilometri divorati su di un'Autosole ridotta ad un immenso cantiere, oppure traditi dalla memoria di vecchie foto su frontespizi di datate copertine, tuttavia sono necessari alcuni frangenti, prima di riconoscere questo singolare boss della fantascienza. Presidente del World Sf per diversi anni, primo scrittore non statunitense a carpire l'ambito Hugo, predatore delle classifiche di vendita con Stand on Zanzibar. Sissignori, siamo al cospetto di John Brunner. Interviene Emesto Vegetti per una rapida presentazione di rito, e poi via, un'amichevole pacca sulle spalle ed una sorsata di birra in compagnia. Quasi incredibile, John Brunner e lo staff di "Yorick" a parlare come vecchi conoscenti. Parlare, parlare, parlare...
Parlare di viaggi ed avventure, di successi ed umiliazioni, di libri e genialità, Sono arabeschi letterari, esperienze di vita che si levano con ritmo incalzante, mentre, a tratti, lo sguardo si perde nell'immensa vetrata adiacente, dove le colline di Romagna declinano sino ad accarezzare il mare. Il mare, già...
L'Adriatico e la mucillagine, le spiagge e l'imminente popolo dell'estate. Ma qui, intorno a questo tavolo, il presente è tabù.
"Ragazzi miei, è sempre splendido venire in Italia. Roma, Milano, Ferrara, Ravenna, San Marino... E' talmente emozionante camminare su strade percorse da millenni prima da persone che hanno fatto la storia! Vivo a Birmingham e vi assicuro che è ben altra cosa.
"La trovo inumana in quanto amo le antiche città dal fascino impalpabile e nel medesimo tempo inequivocabile. Ed ogni volta che faccio ritorno qui, mi pare di percepire sempre un certo vissuto storico. Ah, l'Italia, l'Italia.
"La prima volta che giunsi nel vostro Paese era il 1976. Mi trovavo in Francia per
una convention insieme a Sturgeon, ed alcuni giorni dopo avrei dovuto presenziare
ad un rendez-vous dedicato alla Sf previsto a Ferrara, così proposi a
Theodore di accompagnarmi. Mi recai in un ufficio postale e dettai ad una
operatrice un telegramma, un autentico guazzabuglio in bilico fra italiano e
francese. La comunicazione diceva pressapoco così, "Arrivo unitamente a
Sturgeon". La risposta fu stringata, direi laconica, eppure magnifica. Da Ferrara
scrissero, "Wowh!".
"Nei giorni seguenti, giunti a Ferrara, mentre scendevamo una scalinata per
recarci alla sede del meeting, venimmo terrorizzati da un terribile frastuono alle
nostre spalle. Era un signore vestito impeccabilmente che, rincorrendoci, urlava
a squarciagola, "Sturgeon, Sturgeon, lei è Sturgeon, vero?!?"
"Un fan, un aminiratore, direte voi. Ed invece no, il distinto individuo si
rivelò un editore. Pose all'allibito Theodore alcune banconote fra le mani.
"Qui ci sono trecento dollari - disse ansimando, quasi in apnea - è quanto
le dovevo già da tempo per una sua antologia, tuttavia non sono mai
riuscito a mettermi in contatto con lei."
Dovete sapere che il buon Sturgeon, con quella sua caratteristica di riuscire a
sperperare il contenuto di un pingue portafoglio in un breve lasso, era rimasto
pressoché al verde. Utilizzò parte dei trecento dollari per
raggiungere immediatamente la sede dell'Onu, dove lavorava il fratello che non
incontrava da ben dodici anni. Fu quella l'ultima volta che vidi Theodore. Pochi
anni dopo morì."
Morì... Basta questa parola, e John Brunner, occhi vivaci ed azzurrissimi,
si sofferma per alcuni frangenti chinando il volto, quasi come per riaccendere gli
ardenti tizzoni della memoria, forse per mettere meglio a fuoco il ricordo di uno
scrittore che con la sua fantascienza introdusse un tema tanto audace ed al
medesimo tempo inusitato per l'epoca, l'omosessualità. Giocherella
meditabondo con un anello d'onice consunto sul quale fa capolino il simbolo della
pace, s'accende un pestilenziale sigaro aspirandone profonde boccate. L'eloquente
silenzio viene infranto da un allegro fischiettare che via, via, si fa sempre
più vicino. E' Robert Silverberg, mani ficcate nelle tasche, calzini dalle
tonalità sgargianti e sandali degni di un abate dell'anno mille, il quale,
con aria gioviale, lancia un saluto a Brunner.
Lo sguardo dell'ormai leggendario plasmatore di The squares of the
city riprende vitalità, le labbra si inarcano in un sorriso.
"Silverberg, che tipo...", inizia a bassa voce, sogghignando un poco, il nostro interlocutore. "Molto tempo addietro, quando era ancora sposato con Barbara, la sua prima moglie, lo incontrai casualmente nella caotica Londra. Era roso da un... problema. Aveva acquistato, uno strumento musicale di fabbricazione orientale, ma si vedeva impossibilitato a portarlo negli Stati Uniti a causa del veto, riguardante oggetti di origine cinese, posto durante quegli anni, Trafalgar Square, British Museum, Hyde Park... Ci rimuginò passeggiando nervosamente per diverse ore, finché gli sovvenne l'idea risolutrice. Sostituì al mandolino l'etichetta originale con la didascalia "made in Hong Kong", ed in tal modo eluse l'intero inghippo doganale."
La parentesi londinese si conclude con una sonora risata. John Brunner, ora, agguanta il boccale, lo fissa con sguardo interrogativo, introducendovi quasi il naso. Nulla da fare, tutti i bicchieri occhieggiano malinconicamente vuoti. D'accordo, abbiamo capito, offriamo noi. "Che ne dice, mister Brunner, di un cocktail?".
"Ok, ok, ragazzi, vada per un beverone", sentenzia mulinellando l'indice in aria. E mentre il barman scandisce con lo shaker un ritmo tre-quarti dalle ammalianti sfumature calipso, proviamo ad atteggiarci a veri duri come il miglior Humphrey Bogart nei panni del chandleriano Marlowe, pungolando Brunner con fare indagatorio sui pettegolezzi del belmondo della Sf. Peccato, però, qui manca una bionda fascinosa come Lauren Bacall. Beh, pazienza.
"Cosa c'è di vero nel dualismo, nelle furibonde risse verbali fra Harlan Ellison ed Isaac Asimov?".
"Tutta scena, tutto spettacolo a beneficio degli appassionati... Dovete sapere,
infatti, che fra i due esiste una consolidata amicizia. Abitualmente li si vede
insieme in qualche bar a tracannare birra. E se lo garantisco io, potete stare
tranquilli. Sì, perché ho anche frequentato l'abitazione di Ellison.
Come quella volta...
"Era il '66 e mi trovavo a Los Angeles cortesemente ospitato da Harlan, quando gli
balenò uno di quei proverbiali colpi di testa. Si infilò camicia,
giacca e cravatta, urlandomi dalla stanza adiacente di fare altrettanto. Mi
accompagnò nella redazione di una rivista di costume e cultura, chiamata
Knavei, presentandomi al direttore come un grande scrittore inglese.
"Bene, fammi immediatamente un articolo", disse quello. In un angolo, fra il
frastuono del redattori, pigiai freneticamente sui tasti della macchina da
scrivere. Ne uscì un buon articoletto, pagato all'istante, per mezzo del
quale mi trattenni nella West Coast per qualche altro giorno."
"Senta un po', Brunner... Sono trascorsi tanti anni, ma si continua a parlare con puntuale insistenza di un favoloso dibattito che la vide protagonista unitamente a Leiber..."
"Oh, sì! Probabilmente vi state riferendo al Worldcon del '79 tenutosi a
New York. Che faville, quella volta... L'argomento, tanto per dare un sapiente
tocco di suspense, venne rivelato solamente la sera prima. Gli organizzatori
optarono per La mitologia e la fantascienza - indubbiamente un tema che
richiedeva una preparazione ben lungi dall'improvvisare. Mi trovavo a
bighellonare senza una meta precisa, quando decisi di passare da Fritz Leiber.
Vista la tarda ora, me lo ritrovai davanti in pigiama.
"Che ne dici se ne discutiamo insieme?", provai conciliiante.
"Beh, visto che ormai mi hai svegliato", replicò fra uno sbadiglio e
l'altro. Ci sedemmo in salotto, e mentre percorrevo voli pindarici, il buon
Leiber pareva sempre più assonnato, al punto di cadere dalla poltrona. Il
giorno seguente, su di un palco, di fronte a centinaia di appassionati, tutto si
svolse alla perfezione, tanto che qualcuno disse, "E' stato come origliare alla
porta mentre due studiosi eruditi chiacchierano amabilmente fra loro. - Simpatico,
vero?
Tuttavia ciò che mi stupì maggiormente, fu il fatto che Leiber, pur
non avendo preso un misero appunto, si dimostrò di una brillantezza
invidiabile e probabilmente ineguagliabile!"
"E del chiacchierato Philip Dick, genio e sregolatezza per antonomasia, che ci racconta?".
"Mi ritengo orgoglioso di essere stato fra i primi ad apprezzarne il vulcanico talento! C'incontrammo nel '64, quando Philip Dick era un signor nessuno, non ancora consacrato da Do androids dream of electric sheep?. Sin dal primo impatto mi accorsi della strana carica che fuoriusciva da quell'uomo difficile, timido, il quale di rado alzava lo sguardo. Solamente una ristretta cerchia di adepti ne aveva letto i primi scritti ricavandone peraltro grande entusiasmo, tuttavia già si sapeva della sua dedizione alle anfetamine... Era affascinante, si notava immediatamente che aveva dentro molte cose da dire. I libri usciti in seguito, ne sono stati la testimonianza.
Cyberpunk, hard, nuove tendenze...
"Ho capito, ho capito!", sbotta John Brunner, scrollando le spalle, "mi volete
tirare per i capelli nella polemica!", ed ironicamente si accarezza la testa
abbondantemente calva. Ancora qualche secondo, poi un fiume di parole.
"Non li apprezzo molto gli scrittori che trattano del cosiddetto cyberpunk ...
Dopotutto nel periodo fra gli anni '50 e '70 notevoli talenti come Frederik Pohl
avevano sviluppato tematiche analoghe, le quali contemplavano metropoli
ingovernabili, nuovi sviluppi della tecnologia e della genetica. Attualmente,
invece, questa frangia si addentra in cose eccessivamente intimistiche, vicine a
concetti che solamente gli autori conoscono alla perfezione. Ed in tal modo il
lettore rimane estraneo, preso in contropiede. Per quel che riguarda le nuove
tendenze della fantascienza contemporanea - s'infiamma Brunner - mi limito a
sottolineare che nel '31, in Gran Bretagna, apparve un'antologia sensibile alle
storie di mondi paralleli, contenente persino uno scritto di Winston Churchill.
Erano pure state incluse vicende con ipotetici imprevisti storici, una lunga
sequela di affascinanti se. Ad esempio, quale sviluppo avrebbe avuto la
rivoluzione francese se re Luigi non fosse stato scoperto da una guardia mentre
tentava la fuga? E su questa falsariga v'erano molte altre suggestive teorie.
Anch'io mi sono cimentato in tematiche simili. Partendo da un fondamento storico
che menziona una spedizione capitanata da Kung Ho, un intrepido esploratore
cinese, misteriosamente scomparsa nel nulla, ho immaginato che parte degli
avventurieri abbia raggiunto l'Africa, dando vita ad una genìa che in
seguito avrebbe conquistato l'Europa. Nel corso di quest'immensa ed ipotetica
saga storica, si menziona inoltre l'Indonesia quale culla della rivoluzione
industriale. Quindi...
"Parliamo d'idee. 0gni scrittore vanta una musa... Ad esempio Isaac Asimov è solito raccontare un curioso aneddoto: alla vigilia di un importante incontro con un editore non aveva nemmeno uno straccio di trama passabile, ma, concentrandosi su una singola frase di un libro...".
"Ecco qui il mio inseparabile block notes", c'interrompe l'autore di The
jagged orbit, estraendo da una tasca della giacca un piccolo taccuino.
"Sembrerà un paradosso, eppure la mia migliore fonte d'ispirazione è
proprio sedermi ad un tavolo e scrivere un romanzo. Ed ecco mulinare decine di
altre idee, di altri input, che non vengono utilizzati nella stesura alla quale mi
vedo impegnato. Risulta basilare annotare ogni cosa, meticolosamente, per poi
stupirsi piacevolmente dopo alcuni mesi, rileggendo il tutto, quando si è
alla ricerca della provvidenziale scintilla d'ingegno. Attenzione, però,
la scelta dovrà essere estremamente oculata, in quanto nel romanzo di
fantascienza l'idea migliore non è necesariamente rappresentata da quella
maggiormente brillante, bensì da ciò che risulta realmente
realizzabile, che possa rivelarsi di facile narrazione, di estrema chiarezza per
il lettore. Ricordate: idee realizzabili, il segreto è tutto qui."
L'obiettivo indiscreto si sposta ai prossimi appuntamenti con il grande pubblico. Temporeggia per alcuni secondi, riponendo con aria furtiva il block notes.
"Di rado ne parlo, tuttavia vista la vostra passione per il mistero, la fantasy e
tutti quei mondi avventurosi creati da Howard, un autore che apprezzo parecchio,
posso anticipare che nei prossimi mesi uscirà in Inghilterra un'antologia
dedicata alla fantasy di cui sarò il curatore. Per farmi spifferare altro
non vi sarebbe sufficiente un settimo grado...", sghignazza il nostro
interlocutore. L'imbrunire s'avventa a rapidi passi su quest'intensa giornata
all'Eurocon, e John Brunner pare accorgersene solamente gettando un'occhiata
svogliata all'orologio a muro posto sopra il bar.
"Però, il tempo è letteralmente volato! Beh, mi pare comprensibile,
dopotutto con voi ho dialogato dei miei argomenti preferiti.".
"Ecco qui, Square House, Palmer Street, South Petlierton, Som Ta 13-5 Db.",
snocciola a bruciapelo Brunner, porgendoci un biglietto da visita, quasi
intendesse cimentarsi in un indiavolato rap. "Ma sì, ragazzi - aggiunge
immediatamente - il mio indirizzo! Scrivetemi, di tanto in tanto...".
Inforca gli occhiali, fa un cenno al barman. "Birra per tutti!". E cosi, nel nome di malto e luppolo, di fantascienza e pagine memorabili, alziamo i bicchieri per un brindisi. "A quel che eravamo, a ciò che siamo... E a quel che saremo!", azzardiamo noi, come del resto vorrebbe il Kevin Kostner di "Fandango". John Brunner, cinquantacinque anni portati con disinvoltura, approva con un cenno del capo. E sorride.
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