I racconti vincitori del IV Premio Fredric Brown
Relax di Francesco Redolfi
Primo classificato al IV Premio Fredric Brown
Finalmente, dopo tutti quei film di successo, un numero incredibile di puntate di un serial televisivo massacrante, viaggi ai confini dello spazio (conosciuto o meno), mirabolanti avventure risolte grazie alle mie conoscenze scientifiche e all'incredibile fortuna di alcuni membri di quella assurda astronave, posso prendermi qualche giorno di meritato riposo. Godermi in santa pace un pò di relax. Sono fuggito di soppiatto, lo confesso, ma sono riuscito ugualmente a portarmi dietro alcune cose di cui non potevo assolutamente fare a meno. Come la scacchiera multi-dimensionale, due divise lavate di fresco e la mia lacca preferita per capelli, insieme alla tintura nero-fuliggine, naturalmente. Dopo qualche peregrinazione ho trovato una camera in questo magnifico residence alle pendici del vulcano Takamora, un ambiente molto familiare che riesce a rilassarmi completamente. Il mio programma per il prossimo futuro è il seguente: una bella doccia calda, tenere i capelli spettinati, sbragarmi su un letto per una tranquilla pennichella ristoratrice.Capirete, dopo tutti quegli anni trascorsi restando in piedi come un baccalà sul ponte di comando...
BEEEP!
Il citofono. Che diavolo vorranno, quelli del residence?
- Pronto?
- Signor Spock?
- Sì?
- C'é qui un certo McCoy. Dice che è venuto a prenderla.
- Non lo faccia passare!
- Impossibile. C'é un energumeno che mi sta puntando addosso una specie di radiolina a transistor. Ho il sospetto che sia pericolosa. A proposito...
- Sì?
- Continuano a dire che il suo non è stato un comportamento logico.
Reality di Marco Pera
Secondo classificato al IV Premio Fredric Brown
- Sei in trappola, Siegler!Siegler si volta, la Beretta microcompatta con proiettili corazzati che penzola languidamente dal suo indice destro. La tipica, affettata aria canzonatoria dà alla sua figura dinoccolata un sapore di telefilm nordamericano fine millennio. Grida: - Fottiti, bastardo! Sai bene che non puoi farmi niente. Okay, hai vinto, e allora? Sono qui per divertirmi, delle regole del gioco me ne sbatto. Spara!... Dai spara, stronzo!
Siegler sa che è inutile reagire. Gli uomini della Yakuza indossano dei deviatori di campo Kurochi-Stein; impossibile mettere a segno un colpo. Sa anche di non rischiare molto. Il suo week-end virtuale avrà una fine anticipata: il lampo del mitragliatore automatico del killer e poi si ritroverà nel suo appartamento, con la domenica pomeriggio da inventare e una grande incazzatura per dover pagare l'Agenzia anche le ore virtuali perse per la sua stupidità. Del resto non può recriminare; questo tipo di contratto l'ha scelto lui: rende più eccitante la sfida.
È con una certa sorpresa quindi che, dopo il lampo ed il triplice schianto della semiraffica, si trova disteso, gelo che penetra nella schiena, appoggiata ad un muro del vicolo chiuso e male illuminato, fuoco nelle gambe, maciullate dalla scarica di proiettili al carbonio.
Siegler sorride, soddisfatto, mentre una smorfia di dolore deforma la sottile linea delle labbra sul suo volto scarno. Sibila: - Vuoi giocare un pò con me, eh? Fottuta I.A.! Bene, meglio così. Stai facendo un ottimo lavoro, mi fai spendere meglio i miei soldi; mi fai... divertire.
Veramente credibile, pensa Siegler; realistico. L'Agenzia deve aver assegnato il controllo di questo mondo virtuale ad una Intelligenza Artificiale di elevato livello. Guarda gli uomini della Yakuza avvicinarsi lentamente; due cloni inespressivi, ancora più inespressivi di quanto abbia mai trovato tutti gli orientali.
Lineamenti congelati in una parodia di maschera teatrale sul loro volto dai muscoli irrigiditi; non un capello fuori posto, dopo mezz'ora di inseguimento nei bassifondi di Hong Kong. Siegler si ricrede: non così realistico, poi.
Ora è veramente la fine: il clone di destra alza lentamente il mitragliatore con una solennità ridicolmente melodrammatica. Siegler è troppo irritato per accettare di stare alle regole fino in fondo. E' frustrante fingere di essere un contrabbandiere di hardware coreano quando sai che una raffica virtuale ti sta per ricacciare nel tuo noioso mondo reale. Ancora una volta cerca una sterile soddisfazione rifiutando la realtà che egli stesso si è comprata: - Pensi di farmi paura con quel giocattolo, ammasso di sushi in codice macchina? Non sei altro che una scarica di fottuti bytes rinchiusi in una prigione al silicio! Io sono stato ucciso da frecce persiane a Maratona; da vecchio, sincero piombo a Chicago, nel '923; da fucili a particelle in un futuro che ancora deve...
Ci sono proiettili al carbonio calibro 5,65 questa volta, per Siegler. Lo lasciano lì, una frase in sospeso, a mescolare il suo sangue col sudiciume dei bassifondi di Hong Kong.
Il clone di destra si insuffia una dose di Hellish Heaven in una narice, si volta verso il suo compagno; uno sguardo vacuo, i muscoli facciali rilassati, ora. Dice: - Fin troppo facile. Povero bastardo! Ecco come si finisce a passare tre mesi interfacciati a un network di mondi virtuali. Io preferisco l'Heaven.
L'altro si infila gli occhiali scuri, rimette con nonchalance la sicura al suo mitragliatore Uzi 2100, lo ripone nella fondina; poi risponde: - Quando uno è braccato dall'Organizzazione, fa degli errori. Lui l'ha fatto chiudendosi in quell'albergo a ore e cercando la fuga da una realtà senza futuro, fino a confondere il sogno con la vita. In fondo è morto bene, senza paura. Chi può dire che non l'abbia fatto di proposito?
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