Delos 8: Racconto Freddy

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di Luigi Pachì

1.

Evelin corse verso il bagno, ma Freddy fu più lesto di lei e impedì alla porta di chiudersi. La piccola volse il suo sguardo all'insù e mugugnò con una lacrima che le scendeva lentamente dalle gote: -- Ti prego, lasciami in pace... non voglio fare niente di male.
L'automa la fissò impassibile. "Ho la sensazione che ti saresti chiusa dentro per giocare da sola", pareva dire con rimprovero.
La bimba tentò di chiudersi la porta alle spalle, ma ancora una volta Freddy bloccò il suo gesto spalancandola completamente. "Io sono un robot... e sono stato programmato per passare il mio tempo con te", s'affrettarono a razionalizzare i processi logici dell'automa.
-- Brutto antipatico, -- pianse Evelin -- io non voglio giocare con un "pezzo di ferro...".
A lei non piaceva Freddy, sin dal primo giorno che sua madre lo aveva acquistato. Quello sguardo freddo e distaccato: pareva un totale estraneo, una finta presenza, voluminosa e crudele. Forse un giorno si sarebbe ricreduta, ma quella prima settimana di esperienza con il suo nuovo compagno era stata disastrosa.
Il robot abbracciò la piccina e la riportò nella sua stanza piena di giochi. Si guardò attorno per un breve istante, poi prese una scacchiera e le pedine della dama. In poco meno di dieci secondi con movimenti velocissimi posizionò i pezzi bianchi e quelli neri nelle apposite caselle. Il robot mosse addirittura per primo e si fermò a fissare la bambina. Evelin si stava attorcigliando i lunghi capelli castani sull'indice della mano destra. -- La dama mi fa schifo -- gridò tirandosi il ricciolo.
Freddy grugnì fino a spaventarla, quindi con la mano tremolante la bimba mosse il pezzo nero.
La partita la vinse Freddy.
Per fortuna di Evelin sua madre rientrò dalla spesa e lei la raggiunse di corsa. -- Mamma, mamma... ti posso aiutare.
-- Cristo Evelin, lo sai che questi sono mestieri da grandi -- masticò tra i denti Lynne, con ancora quattro pesantissimi sacchetti del supermercato tra le mani.
-- Io ti voglio aiutare... -- insistette la piccina.
-- Perché non sei di là con Freddy -- borbottò la madre.
-- tutto il pomeriggio che ci gioco -- disse Evelin corrucciata.
-- Non avrai ancora combinato guai? -- chiese con fare dubbioso Lynne, voltandosi verso la figlia per osservare la sua espressione.
-- Be', ecco... Perché non preparo la tavola mammy? -- sviò la piccola. Il suo sguardo aveva tradito ancora una volta i suoi pensieri. La madre se ne accorse, ma decise di fare finta di niente. Era troppo sfibrata per discutere.
-- D'accordo, apparecchia la tavola...
--Yaoo! -- gridò Evelin, quasi si fosse liberata di un peso insopportabile.

2.

Andrew si stava gustando l'articolo sul "Times" che parlava della spedizione Le--febre--Yoshida, dalla luna a Marte, quando Lynne lo distolse dalla lettura con un secco colpo di tosse. -- Dobbiamo fare qualcosa per Evelin -- disse irritata. -- Non puoi stare sempre lì con il giornale in mano come un babbeo!
-- Dov'è il problema, questa volta? -- domandò lui scocciato per il solito caratteraccio della moglie.
-- Evelin non vuole giocare con Freddy.
-- E perché mai?
Lynne si passò nervosamente la mano sul mento. -- Lo sai Andrew, lei non va d'accordo con la tecnologia dell'anno '98: ha preso tutto dal suo papà -- ironizzò.
-- Giusto: preferisce i vecchi metodi!
-- Semplicemente si rifiuta di accettare il robot, perché lei è un essere asociale... proprio come te! Guardati lì: le calze bucate, tutto spettinato e il tuo quotidiano zeppo di fregnacce.
-- Ehi, ehi, calmati vecchia gallina del Gym Center... -- alzò la voce Andrew.
-- Certo non é come Gloria -- gli ruggì addosso sua moglie.
-- Gloria?
-- La figlia dei Weston, intelligentone?
-- Hai sentito ancora quel tuo compagno del College?
-- Sì, recentemente ho telefonato a George ed è felice del suo acquisto. Si chiama Robbie ed è uscito dalla stessa fabbrica di Freddy...
-- La U.S. Robots...?
-- Esatto, zuccone. Gloria ha il problema opposto di Evelin.
-- E cioè?
-- Pare che la signora Weston fatichi a limitare il periodo di gioco tra la bimba e il robot.
-- Pagheresti oro per avere tua figlia così disponibile, non è vero? -- commentò Andrew -- Invece di andare in palestra solo tre ore al giorno potresti passare l'intera giornata a muovere i tuoi muscoli. Tutti quanti tranne quello del cervello, ovviamente.
-- Facile insultare -- commentò Lynne alzando le mani al cielo. -- Tu non hai il coraggio di ammettere che Evelin è la tua copia sputata: pigra e capricciosa. stata fatta una spesa che reputavamo importante e adesso dobbiamo utilizzarla.
-- Reputavamo importante? -- ringhiò sbalordito Andrew che stava perdendo del tutto la pazienza -- Questa è bella. Mi hai obbligato a comprare Freddy perché non sei mai in casa, per i tuoi mille impegni di donna "emancipata", e hai anche il coraggio di dire che si è trattato di una decisione in comune...
-- I tuoi commenti possono solo rafforzare la tua scialbezza di uomo bianco americano. -- s'affannò a dire Lynne agitandosi per la stanza -- Io ho la coscienza in regola: dopotutto Freddy non può venire meno alla prima Legge della Robotica.
-- Lo so, lo so... Come dice esattamente? -- domandò lui di proposito, sapendo che la donna conosceva tutte e tre le leggi a memoria. Sentire la voce irritata della moglie recitare lo avrebbe riempito di masochistico piacere.
-- "Un robot non può recare danno ad un essere umano ne può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno". -- disse Lynne tutta d'un fiato.
-- In ogni caso Evelin non può vivere relegata da sola... o con Freddy.
-- Basta, -- urlò Lynne come una pazza isterica -- io domani devo correre in centro per i saldi di fine stagione, poi ho la parrucchiera, la palestra e la visita a mia madre... Come credi che potrei fare tutto questo se non ci fosse Freddy?
Evelin origliava dalla sua stanzetta con le lacrime agli occhi. Anche quella sera i suoi genitori stavano litigando e non c'era speranza che si sarebbero riappacificati durante la notte.

3.

La bambina era girata di spalle e pettinava un grosso bambolotto. Da lontano era quasi impossibile capire quale delle due figure fosse Evelin e quale Poppy. Il rumore ferroso di Freddy la fece sobbalzare. Si girò di scatto e vide il robot avvicinarsi a lei con un giochino di società.
-- Freddy, lasciami in pace, -- urlò -- voglio giocare con il mio Poppy.
Evelin si strinse al suo bambolotto e si mise a gridare.
In quel momento sua madre entrò nella stanza. -- Evelin, la devi smettere di giocare da sola. Devi imparare a giocare con gli altri. -- strillò.
-- Non voglio, non voglio. -- pianse la bimba.
-- Evelin, non puoi passare il tempo a giocare da sola con i tuoi pupazzetti. Tu hai Freddy; è stato costruito apposta per farti compagnia.
Lynne fissò il robot che, con quel giochino in mano, pareva volesse dire: "Vi prego convincetela a giocare con me. Io sono qui apposta per farle compagnia e giocare..."
-- Dai mamma, lasciami giocare senza di lui. Almeno stasera.
Lynne si guardò negli occhi, attraverso lo specchio della cameretta, alla ricerca di un silenzioso consenso.
-- E va bene -- sbuffò -- questa sera gioca col tuo Poppy, ma da domani Freddy farà parte delle tue giornate in casa. Siamo d'accordo?
La bimba singhiozzò alcune cose incomprensibili, poi alla fine disse tra le lacrime un piccolo "si".
Il giorno dopo, quando Evelin alzò gli occhi dal suo morbido cuscino, vide l'ombra di Freddy attenderla rigidamente in piedi con il gioco di società tra le mani.
Si rimboccò le coperte fin sopra la testa e attese finché sua madre la venne a strattonare per la colazione.
Passò vicino al robot senza neppure degnarlo di uno sguardo e poi corse in cucina. Evelin sapeva che lui l'avrebbe attesa di là in camera senza spostarsi di un solo millimetro.
Aveva in mano un gioco e ci avrebbe presto giocato in compagnia della bimba.

4.

Nel mese successivo Evelin parve cambiare i propri lineamenti; il volto pallido ed emaciato, la corporatura asciutta come non mai. Negli album fotografici conservati alla rinfusa da sua madre era raffigurata come una bella bimba paffutella e colorita, ma con l'arrivo di Freddy sembrava avere subito una celere metamorfosi incomprensibile, di cui nessuno dei genitori pareva accorgersi, tanto erano presi a litigare tra di loro ad ogni incontro.
Quel giorno si trovava a letto con trentanove di febbre. Sua madre aveva raccomandato a Freddy di tenerla d'occhio mentre sarebbe uscita per le usuali spese giornaliere ed il Gym Center. Il robot aveva leggermente inclinato indietro il proprio capo in un cenno d'assenso e lei si era sentita più tranquilla.
Evelin udì chiudere la porta con quattro mandate. Quel rumore le rimbombò nella testa, amplificato dal suo stato febbrile. Il suo sguardo scivolò alla finestra, mostrandole il mondo esterno tagliato a fette, per via delle persiane. Tutto quello che le roteava attorno aveva contorni indefiniti. Persino Freddy era una macchia scura che si muoveva lentamente da un lato all'altro della stanza. Decise, allora, di infilare la sua testina sotto le coperte e di tentare un lungo sonno.
Quindici minuti più tardi era di nuovo sveglia, sollevò le coperte e accanto a lei c'era il robot con la scacchiera appoggiata sul letto. Mise a fuoco i pezzi della dama strofinandosi gli occhi gonfi e vide un pezzo bianco già in movimento. Voleva piangere, ma riusciva a malapena a sudare tra le coperte. Il robot le scosse un po' bruscamente la spalla e indicò i pezzi neri. Doveva muovere lei.
Verso la quarta mossa Evelin spostò appositamente la sua pedina in una casella bianca, ma Freddy la riportò al punto iniziale. Lei ne mosse un'altra ancora in modo scorretto e l'azione dell'automa si ripeté. Non aveva scampo, sapeva che doveva giocare a tutti i costi con lui. Qualsiasi spostamento errato sarebbe stato interpretato dai circuiti positronici della macchina come un errore umano, non come la volontà di evitare tale rapporto.
Evelin riprese a giocare correttamente, per quanto la febbre non le permetteva di pensare più di tanto. E comunque Freddy, alla fine, avrebbe vinto lo stesso.
Conclusa la partita a dama Freddy si riavvicinò al letto della bimba con un'altra scatola in mano. Era Eagles, un gioco di società, una specie di gioco dell'oca, e ad Evelin non era mai piaciuto, neanche quando ci giocava con sua madre. Fu proprio in quel momento che nella sua mente sorse per la prima volta un pensiero cattivo. Si alzò a fatica e si diresse in bagno. Freddy la seguiva silenziosamente con la scatola tra le mani. Aspettava che lei si fermasse per giocare assieme. Evelin azionò i rubinetti della vasca da bagno fino a riempirla completamente d'acqua, poi insaponò per bene il pavimento piastrellato e mise tra la porta del bagno e la vasca una serie di oggetti pronti a fare inciampare chiunque.
Si mosse con cura verso il lettino con Freddy che la seguiva come un'ombra. Improvvisamente cambiò direzione, puntando di corsa verso il bagno. Il robot accelerò verso di lei, mentre la bimba, abilmente, si fermò a pochi centimetri dal pavimento insaponato. Freddy invece non fece in tempo a rallentare e inciampando tra gli oggetti, poggiati a terra come trappole, perse l'equilibrio e cadde con metà corpo dentro la vasca provocando uno scoppio rumoroso.
Evelin guardò quella scena soddisfatta, con un sorriso forzato sulle labbra, e tornò a letto come se niente fosse.

5.

Andrew e Lynne, supini nel loro letto matrimoniale, stavano battagliando con voce grossa, incauti del sonno della loro piccina.
-- Immagino tu non sia ancora stato ad informarti su Freddy, maledetto scansafatiche?
-- E invece ti sbagli, vecchia gallina. Sembra che Freddy riuscirà ad essere in sesto per la prossima settimana -- disse lui portandosi la sigaretta verso le labbra.
-- Sei stato alla U.S. Robots? -- chiese Lynne incredula.
-- Sì, sono andato a visitare il tuo robot. I tecnici hanno detto che è un lavoretto da niente.
-- Hai chiesto come abbia potuto combinare quel pasticcio?
-- Si era stancato di stare in casa con una donna così insulsa come te -- la beffeggiò lui.
-- Perché fai sempre il cretino gratuitamente?
Andrew allora aspirò profondamente il fumo della sigaretta e si girò sul fianco verso sua moglie. -- Secondo loro il comportamento di Freddy è risultato atipico. Mi hanno mostrato delle statistiche; centinaia di report, di istogrammi, di analisi comparate provano la totale estraneità verso un simile fenomeno su tutta lo loro gamma di robot. Nessun automa, prima d'ora, ha mai tentato il suicidio, gettandosi verso la vasca da bagno colma d'acqua.
-- Non credi neanche tu alla storia di Evelin, vero? -- domandò Lynne preoccupata.
-- Quello che so -- rispose Andrew, -- è che Freddy non ha neppure il coraggio di aspettare l'età del College di Evelin per vedere il nostro divorzio, così come concordato. Preferisce farsi fuori prima.
Anche la donna si girò sul fianco, in direzione del consorte, e avvicinandosi al volto gli urlò: -- Tu devi solo farti fottere. Tua figlia fa la strega, distrugge le cose che gli compriamo, cresce come un'ebete fuori dal mondo e tu non sei in grado di darmi una risposta seria.
Andrew era rosso come un peperone e tratteneva a stento le sue mani dallo strozzare la moglie. -- Se ce qualcuno qui che deve andare a farsi fottere sei solo tu... Madre snaturata e donna interdetta.
-- A parlato il padre prodigio...
Vi fu un lungo silenzio. Poi si augurarono la buona notte lasciandosi scappare tra le labbra ulteriori piccoli insulti.

6.

La settimana in cui Freddy fu a riparare Evelin parve riprendersi dalla sua malattia. Per un attimo sembrava persino aver ritrovato i suoi pomelli rossi di un tempo. A tavola mangiava con gusto e sua madre era soddisfatta della cura vitaminica che le aveva consigliato il dottor Brown. Quattro pastiglie al giorno e un paio di punturine avevano sconfitto quella che era reputata una brutta influenza invernale.
-- Devo uscire, Evelin -- disse la madre.
-- No, dai, rimani qui... giochiamo-- rispose d'istinto la piccola.
-- Stasera lo farai con il papà.
-- Io voglio stare un po' con te, adesso.
-- Lo sai che non posso. Ho tutta una serie di impegni che mi aspettano fuori da quella porta.
-- Dai, rimani-- cantilenava Evelin.
Lynne cominciava ad innervosirsi. Forse non era davvero portata per avere bambini, e ogni volta che si irritava vedeva negli occhi di Evelin quelli del marito e la collera aumentava a dismisura. Perché mai aveva deciso di sposare quell'essere così insulso? Forse il suo amore per lui era durato solo qualche notte e poi si era tramutato in semplice affetto, per passare infine -- a distanza di qualche anno dal matrimonio -- a scontro verbale quotidiano.
-- Basta! Adesso piantala, -- gracchiò la madre -- ti ho già detto che devo fare un sacco di cose.
-- Ma mamma...
-- Anzi, prima che io esca dimmi la verità: cosa è successo con Freddy l'ultima volta? --
Le sue parole colpirono Evelin come uno schiaffo. La bambina smorzò ulteriormente l'espressione del viso, girò le spalle verso la cameretta e, correndo verso di essa, urlò: -- Dormivoooo! Non lo sooo!
Lynne andò a prepararsi per uscire. Per un breve attimo il pensiero che sua figlia potesse avere una anima cupa e misteriosa s'affacciò in lei, ma venne subito scansato davanti alla prospettiva delle successive due ore di palestra che l'attendevano.
Anche altre volte Lynne non aveva accettato che sua figlia sembrasse poco portata alle relazioni sociali. Da quando era nata era sempre stata schiva verso genitori e vergognosa con parenti e amici. Certo era troppo presto per parlare di psicanalista, sebbene a distanza di qualche anno sarebbe stata una soluzione più che valida, considerando il carattere introverso della sua creatura. Quello che Lynne non si era mai soffermata a valutare era che il comportamento della bimba potesse dipendere dall'ambiente ostile in cui si era sempre venuta a trovare. Le furiose litigate giornaliere con il suo consorte avevano reso la piccina un indifeso e psicologicamente fragile essere umano.
Con passo felpato Lynne si mosse verso la cameretta. Guardò dalla porta i lineamenti del tondo e gommoso Poppy e quelli più umani di Evelin. La bambina stava parlando al grosso bambolotto come se fossero stati vecchi amici. -- Sai che oggi possiamo giocare io e te da soli? A che cosa vuoi giocare? Alla dama, davvero? Quel gioco lì è proprio bello, sai?
Evelin sistemò per terra la scacchiera e posizionò le pedine con minuzioso ordine. Poi cominciò a giocare, muovendole sia per lei che per il suo avversario.
Lynne scosse la testa depressa e scivolò di nuovo verso la cucina.

7.

Fu un vero dramma il giorno in cui Freddy venne riconsegnato. Era lì in piedi, silenzioso come sempre e con l'acciaio più lucido che mai.
Quando Evelin lo vide cadde sulle ginocchia e cominciò a piangere disperatamente. I suoi non le avevano detto più niente al riguardo dell'automa, fin dall'esplosione nella vasca. Forse, tacitamente, si era persino illusa che la sua vita fosse tornata ad essere quella normale di quando passava interi pomeriggi a pettinare i lunghi capelli delle sue bambole e a guardare i canali televisivi via cavo commentandoli con Poppy.
-- Sai, Evelin, adesso ha tutte le rotelle al posto giusto? -- sdrammatizzò con una risatina il papà, con il giornale aperto alla pagina sportiva.
Lynne le si avvicinò, la tirò di forza in piedi e poi la prese tra le braccia. -- Dai Evelin, Freddy è qui per aiutarti nei tuoi giochi, per farti compagnia...
-- Non lo voglio -- pianse avvilita.
-- Piantala di frignare per Freddy, -- la interruppe la madre -- non lo farà più di buttarsi nella vasca; i tecnici l'hanno sistemato bene adesso!
Andrew, puntando alle pagine finanziarie del "Times", aggiunse distrattamente: -- Non può più farlo, ci hanno fornito un sistema di telecamere a distanza che lo controlla. La prima azione sbagliata che fa lo ritirano per sempre.
Evelin impiegò qualche secondo a comprendere quelle parole. Poi sentì un bruciore forte provenire dallo stomaco e le lacrime presero a sgorgare per dieci lunghi minuti.
Era stata sistemata sul divano della sala, con una coperta tra le gambe. Sentiva i suoi genitori di nuovo bisticciare in cucina, ma non riusciva a capire la ragione di fondo. In quel momento percepì un ombra allungarsi verso di lei. Alzò gli occhi terrorizzata e vide Freddy chinarsi rapidamente.
Lynne e Andrew erano giusto ritornati in sala in quel momento. -- Guarda Evelin, -- la incitò la madre. -- non vede l'ora di rifare amicizia! Vedi com'è gentile?
Le mani di freddo alluminio del robot stringevano una scatola di cartone. Evelin la mise a fuoco a fatica, per via delle lacrime, e quando la vide ebbe come un mancamento. Si trattava di Eagles.

8.

Per vari mesi Evelin cercò di far capire a sua madre, senza successo alcuno, quanto fosse faticoso trattare con Freddy. Ma più ne parlava apertamente, maggiori erano le imposizioni. Aveva cominciato con quattro ore al giorno assieme all'automa e, tra un capriccio e l'altro, era arrivata a starci oltre otto ore.
Dal canto suo aveva anche provato a convincersi che si trattasse di un buon compagno, visto che la madre non era mai in casa. Ma lui era troppo scortese. Non si trattava di un palese comportamento riprendibile dalle telecamere a distanza, bensì di un sottile filo psicologico che aveva legato l'automa alla bambina fin dal primo incontro. Freddy puntava solo ai giochi dove vi fosse della competizione ed Evelin doveva accettare passivamente le sue sconfitte, una dopo l'altra, mese dopo mese, anno dopo anno.
Lynne tornò più volte a telefonare al suo compagno di College George Weston, il quale non fece altro che parlare della sua Gloria innamorata di Robbie, tanto da causare alcune divergenze famigliari. Quei discorsi costituivano delle vere iniezioni di fiducia verso Freddy, e per Evelin la speranza di essere lasciata sola si andava riducendo al lumicino.
Riprese a mangiare poco, ad indebolirsi. Allo scadere del terzo anno dall'acquisto di Freddy la sua magra faccina rappresentava una costante espressione di tristezza. I suoi genitori continuavano imperterriti nel loro battagliare a parole grosse. Stranamente, nella loro famiglia, Evelin non era il punto di unione nel quale ci si concentra maggiormente, ma era solo la ragione di fondo per portarli alle più disparate divergenze di opinione e di carattere.
Certamente la psiche di Evelin aveva vissuto delle esperienze negative forzate che alla sua tenera età l'avrebbero seguita come un fantasma per sempre, creandole scompensi di vario livello, nonché sintomi di psicopatia. Per i suoi genitori fu molto difficile rendersi lentamente conto di come la malattia avanzasse inesorabile. Il processo mentale di Evelin si era raggrinzito. Nessun dottore aveva mai messo in dubbio la possibilità di influenze negative del robot. Loro confermavano la prima legge della robotica, senza approfondire troppo quelle parole così facilmente interpretabili. Semmai il suo abbattimento generale veniva letto come una forma simile alla anoressia. Ogni analisi psichiatrica e clinica racchiudeva una lettura univoca: Evelin era l'unica responsabile del suo stato di abbandono totale e Lynne e Andrew erano completamente inermi contro tale verità, nonostante non si fossero mai sforzati ad aprirsi e rendersi disponibili, come ogni genitore ha il dovere di fare dopo la nascita di un figlio.

9.

Quando Evelin compì sette anni venne rinchiusa in una casa di cura privata. Si trattava di un grosso esborso mensile per Andrew, che nel frattempo aveva continuato a mantenere faticosamente il suo lavoro immerso nel proprio dolore. Da quando Evelin aveva iniziato ad avere le prime crisi mnemoniche, per lui era iniziato un lungo calvario. Ad Evelin capitava sempre più spesso di non riconoscerlo affatto, oppure si imbatteva in vere e proprie crisi dissociative. Persino le parole "mamma" e "papà" erano state cancellate dai suoi incoerenti discorsi.
Andrew era a pezzi, anche perché sapeva che da lì a poco la società per la quale lavorava avrebbe chiuso definitivamente, lasciandolo a casa con tutti i suoi problemi famigliari. Quasi per disperazione, un grigio giorno uggioso, si recò dal signor Denny Wax, la persona più gentile e disponibile durante il suo acquisto di alcuni anni prima alla U.S. Robots and Mechanical Men Corp. Andrew era mosso come da un forte senso di colpa. Era come se nelle ultime settimane tutti i capricci di Evelin fossero tornati alla sua mente fornendogli un messaggio opprimente. Sentiva la voce della sua bimba piangere e urlare, implorando di cacciare dalla sua stanza quel pezzo di latta ingombrante.
Denny Wax era invecchiato molto. Portava una buffa barba bianca e dei baffoni che si attorcigliavano formando due divertenti riccioli. Quando Andrew si presentò lui si spostò verso il terminale della sua scrivania per controllare i files del database aziendale. Sullo schermo monocromatico a fosfori verdi scorsero, dal basso verso l'alto, una carrellata di nominativi relativi all'anagrafica clienti. Il cursore si fermò dopo un po' lampeggiando sul suo nome.
-- Eccola qui! -- disse Denny Wax puntando il suo indice leggermente artritico verso lo schermo.
-- Si, esatto. Può controllare che fine ha fatto Freddy, dopo essere stato ritirato?
-- Sarà stato certamente rimesso a nuovo e riproposto nel catalogo dell'usato come tutti gli altri. -- sottolineò il signor Wax con la certezza di chi conosce le procedure di quell'area specifica.
-- Servono input particolari per questa verifica?
-- Il sistema fa tutto da solo. Basta introdurre i dati di matricola di... Come ha detto che si chiama?
-- Freddy -- s'affrettò a rispondere Andrew.
Le due mani leggermente deformi dell'anziano dipendente digitarono con attenzione il codice di costruzione dell'automa. Aspettarono qualche attimo , poi il signor Wax riprese a parlare. -- Strano, davvero strano -- borbottò, passandosi una mano sulla barba incolta.
-- Qualcosa non va? -- domandò incuriosito Andrew.
-- Da quanto risulta a terminale, -- s'affrettò a commentare l'anziano dipendente -- Freddy ha passato ben otto mesi in laboratorio. la prima volta che il nostro team principale passa tutto questo tempo su un singolo robot.
-- Come mai?
-- Non lo so. Qui pare che alla fine dei controlli Freddy sia stato discontinuato definitivamente su ordine del vertice generale della U.S. Robots.
-- Motivazioni?
-- Nessuna specifica in merito, secondo quello che leggo qui.
-- Nessuna?
-- No, nessuna.

10.

Lynne camminava un metro avanti a Andrew nel lungo corridoio che immetteva negli uffici dell'amministrazione generale della U.S. Robots and Mechanical Men Corp. Per la prima volta in tanti anni stavano facendo qualcosa assieme, lontani dai loro antitetici interessi.
Ad attenderli c'era la segretaria del dottor Hoddinghs che gli aveva fissato quell'appuntamento qualche giorno prima. Li fece accomodare su due splendide poltrone di pelle nera e chiese gentilmente loro se avessero desiderato qualcosa da bere nell'attesa. La risposta negativa dei due non la condizionò più di tanto. -- Il dottor Hoddings si libererà tra pochi minuti -- disse con tono distaccato, allontanandosi in fretta.
Soltanto mezz'ora dopo vennero introdotti.
-- Scusatemi, ma ero al telefono con la sussidiaria europea, -- si presentò il dottor Hoddings, indicando due sedie -- e voi sapete quanto siano logorroici da quelle parti.
Lynne e Andrew si accomodarono dopo aver stretto la mano al loro interlocutore. Si trovavano in un ampio ufficio arredato in stile antico. La scrivania di noce massiccia spiccava per la sua imponenza e per il design di almeno un secolo addietro.
-- La mia segretaria mi ha accennato vagamente la ragione della vostra visita -- asserì con tono calibrato il dirigente, accendendosi un sigaro e offrendone un secondo ad Andrew.
Andrew fece cenno con la mano che non era interessato a fumare e cominciò a parlare. -- La scorsa settimana ero passato da voi per avere notizie di un robot che acquistammo tre anni fa. Quando un suo collaboratore tentò di dirmi a chi era stato rivenduto, il terminale mostrò una serie di dati che reputo molto sconcertanti.
-- Del tipo? -- chiese Hoddings circondato dal fumo del sigaro.
Lynne fu più veloce del marito e con voce roca aggiunse: -- Pare che dopo il ritiro, Freddy sia stato otto mesi sotto il controllo della vostra equipe di esperti più attenta. Alla fine di queste analisi il robot è stato discontinuato.
-- Certo, ora ricordo qualcosa del genere...
-- Lei è un uomo di buona memoria, dottor Hoddings -- lo elogiò la donna, facendo subito un paragone con il limitato intelletto di Andrew.
-- Non proprio, signora -- negò lui coscienziosamente, -- piuttosto è che casi di questo genere si possono contare, grazie al cielo, sulla punta delle dita.
Andrew tirò fuori da un pesante sacchetto alcune cartelline ricche di documenti ospedalieri. -- Qui sono riportate tutte le analisi e gli stati psichici di mia figlia da quando ha iniziato a soffrire di crisi depressive. Voglio sapere se siete i responsabili di questa situazione, come io credo fortemente -- alzò il tono Andrew, mentre Lynne cominciò a capire il gioco del marito, mantenuto segreto fino a quel momento.
-- Andrew! -- si dissociò lei, come sempre.
Lui non l'ascoltò neppure e con lo sguardo freddo di chi esige vendetta era rimasto in attesa di una risposta alla sua precisa domanda.
-- Bene, credo sia il caso di esporvi tutta la verità! -- disse il dirigente gonfiando il tozzo torace.
Lynne sgranò gli occhi, come se quelle parole le fossero rimbalzate addosso.
-- Ebbene sì, -- cominciò con fatica il dottor Hoddings -- i nostri studi hanno riportato un malfunzionamento nel circuito positronico di Freddy. -- Aveva allungato una mano verso il cassetto di destra e stava porgendo un'insieme di fogli tenuti insieme da una grossa graffetta. -- Questa è la relazione finale, dopo la disamina degli otto mesi di test fatti su Freddy.
-- Ma come facevate a sapere che qualcosa non andava? Perché non lo avete detto prima? -- balbettò a fatica Lynne, con una prima lacrima che correva sul suo viso.
-- Dal giorno in cui Freddy ha tentato il suicidio abbiamo tenuto sotto controllo le immagini delle telecamere che vi abbiamo fornito. Tutte le piccole anomalie dei nostri robot vengono sempre seguite a distanza in tempo reale.
-- E cosa avete scoperto? -- chiese con un po' d'affanno Andrew non capendo esattamente se provasse odio verso quell'uomo, verso sua moglie che aveva a suo tempo acquistato l'automa, o un senso di liberazione al suo incubo.
-- Purtroppo niente. Quei filmati non provavano nulla perché Freddy non fuoriusciva dalle sue tre leggi. O meglio, sembrava che non lo facesse, ma era riuscito a svicolare dalla prima.
-- La prima legge è quella che dice...
-- Stai zitta, Lynne, -- la investì Andrew tappandole la bocca --sappiamo tutti quello che dice la prima legge. Lascialo parlare.
-- Quando ci é stato riconsegnato, Freddy ha dovuto subire un duro periodo di prove e di test. Dal punto di vista costruttivo non vi era nulla fuori posto. Solo durante lo stretto contatto giornaliero con il nostro team si è scoperto un "bug" nella programmazione che permetteva all'automa di portare avanti il suo lavoro di baby sitter attraverso giochi che voleva forzatamente vincere.
-- Non capisco -- sospirò Andrew, accendendosi una sigaretta con mano tremante.
-- Il suo circuito positronico aveva fame di competizione. Era stato programmato per giocare, ma allo stesso tempo era in grado di decidere con quale gioco avrebbe battuto il suo compagno.
-- Battuto il suo compagno... -- ripeté d'istinto a voce alta Andrew.
-- Già, Freddy doveva vincere! -- sentenziò il dottor Hoddings.
-- Povera Evelin -- disse con lo stomaco contratto Lynne, mentre le lacrime si erano fatte più copiose.
-- Siamo mortificati dell'accaduto, credetemi -- aggiunse il dirigente. -- La prima legge veniva interpretata da Freddy come comando fisico, non potendo comprendere che un comportamento di quel genere avrebbe influito negativamente sulla psiche umana. Per lui vincere era ininfluente ai fini della prima legge, comprendete?
Andrew chiuse gli occhi disperato. -- Ovviamente per Freddy la voglia di vittoria nel gioco non contrastava con le istruzioni primarie della legge della robotica -- cercò di chiarirsi definitivamente le idee, mentre la cenere della sigaretta gli cadeva per terra senza che nessuno se ne accorgesse.
-- Ovviamente -- intonò il dottor Hoddings. -- Per Freddy quella bramosia di vittoria non aveva nulla di male. Lui era nato così; un giovane robot predisposto a fare compagnia ai bambini, attraverso le sue istruzioni logiche. Istruzioni logiche portate avanti meccanicamente e con costanza.
I tre discussero animatamente per altri venti minuti, tra lo stupore generale di Lynne che si colpevolizzò molto più di Freddy: forse, per la prima volta in vita sua, lei si sentì madre.
Dopo quell'incontro ne seguirono altri sei.

11.

Quattro mesi più tardi Andrew e Lynne ricevettero 350.000 dollari dalla U.S. Robots and Mechanical Men Corp. per quanto accaduto a Evelin. E per Andrew, che aveva definitivamente perso il lavoro, quei soldi furono la salvezza. Il sole dopo la tempesta.
I due si separarono consensualmente e si rivideroro raramente solo quando non riuscivano a schivarsi durante le visite alla casa di cura, dove soggiornava la loro bambina.
Sebbene il dottor Hoddings fosse stata una ottima persona nei loro confronti, tutta l'alta dirigenza della società si era riunita attorno ai propri legali per studiare nei dettagli il caso. Si era anche ipotizzato di non dare un soldo a quella disgraziata famiglia portando avanti svariate ipotesi che avrebbero stroncato in sede giuridica qualsiasi attacco degli avvocati rivali. Ma attente indagini di mercato mostrarono che un'azione legale nei confronti di Andrew e Lynne sarebbe costata alla loro società più dei 350.000 dollari offerti in fase di trattativa finale. Questo perché la stampa avrebbe gonfiato l'accaduto facendo cadere bruscamente le vendite dei loro robot. Ovviamente i coniugi non seppero mai di quel rischio e nell'accordo che stipularono furono costretti a firmare il loro impegno a non rilasciare dichiarazioni su quanto accaduto a media di nessun genere, previo ritiro immediato della somma pattuita.
Così questa vicenda non venne mai resa nota e finì archiviata in una pratica cartacea pronta ad essere divorata da voraci topi o annegata dal primo diluvio autunnale.
Andrew e Lynne vissero soli i successivi anni tra l'angoscia e le comodità domestiche, lasciando, prima di morire, un bel gruzzolo alla casa di cura che ospitava la loro creatura. Nessuno dei due ebbe mai il coraggio di rifarsi una famiglia, forse perché si erano resi conto di non essere all'altezza di gestire tale impegno morale.
Evelin passò ancora molte primavere tra terapie intensive e notti insonni. Le sue crisi dissociative si erano stabilizzate. I medici ne contavano solo un paio alla settimana, ma queste erano sufficienti per non dimetterla. Ovviamente la casa di cura non aveva nessun interesse a farlo.
In ogni caso, anche utilizzando le ultime scoperte nel campo della psicanalisi, o mediante i più raffinati controlli, Evelin non pareva dare nessun segno di stabilità mentale.
Continuò a disperarsi da sola nel suo letto.
Certe volte avrebbe persino voluto giocare ad Eagles con Freddy. Il presente testo può essere letto in linea o scaricato, e può essere diffuso per via telematica senza limitazioni. Il testo è però di proprietà dell'autore e non può essere utilizzato per scopi commerciali, pubblicato su riviste commerciali o inserito in CD-Rom, senza la previa autorizzazione dell'autore. [Inizio pagina] -- [SOMMARIO] [THREAD] [UPDATE] [MATRIX] [VIEWS] [LIST] [SCRIPT]