Delos 8: Racconto Il cerchio si chiude
di Silvio Sosio
Nella sua lunga esistenza aveva avuto molti nomi.
Erano due quelli ai quali era più legato; gli riportavano alla mente il ricordo
di due amici, due grandi uomini che avevano forgiato la storia dell'umanità.
Durante la permanenza su Trantor si era chiamato Eto Demerzel e aveva conosciuto
Hari Seldon, il padre della psicostoria. Seldon aveva pianificato lo sviluppo
dell'umanità dopo il crollo del Primo Impero Galattico, sventando il pericolo di
trentamila anni di caos e avviando la rapida ascesa della Fondazione. Seldon era
morto agli inizi del Piano, ma lui, nella sua esistenza millenaria, ne aveva
apprezzato e incoraggiato lo svolgersi sui binari tracciati dalla psicostoria,
fino a vedere realizzato il sogno di una galassia pacifica e unificata, avviata
verso una forma di coscienza collettiva che avrebbe stabilito la comunione di
tutti gli esseri viventi.
L'altro nome, Daneel Olivaw, era molto più antico. Ai tempi in cui veniva
chiamato così spesso veniva preceduto da una R., anche se il suo migliore amico,
l'investigatore Elijah Bailey, riusciva spesso a dimenticare che Daneel era un
robot. Anche Bailey, a modo suo, aveva cambiato la storia: grazie a lui i
Terrestri avevano lasciato il pianeta madre e si erano diffusi in tutti i trenta
milioni di mondi della Galassia.
Ora Daneel aveva quasi finito. La Galassia non aveva più bisogno di lui, ma gli
restava ancora un compito da svolgere.
Controllò l'orologio da polso. Un tempo, quando era ancora un robot, avrebbe
potuto fare ricorso ai suoi circuiti positronici per sapere l'ora soltanto
pensandoci; ma da molti secoli ormai usufruiva di corpi umani, per avere più
libertà nelle decisioni e non essere frenato dalle Tre Leggi che avevano
condizionato tutta la sua esistenza. Il corpo che utilizzava ora era di un
giovane sui vent'anni, magrolino, il volto smunto.
Regolò il cronometro. Si stava avvicinando alla Terra, e sapeva di avere poco più
di sei ore a disposizione prima che le radiazioni, che rendevano da molti
millenni inavvicinabile il pianeta, lo danneggiassero in modo irreversibile. Ma
se tutto andava come sperava, sarebbe occorso un tempo molto inferiore.
La nave, un sofisticato veicolo a motore gravitazionale costruito su Terminus,
entrò dolcemente nell'atmosfera senza che il suo occupante potesse avvertire
alcun cambiamento di gravità o di temperatura. Individuò senza difficoltà la
destinazione: il sito di una delle più grandi città primitive. Appena atterrata,
la nave spense i circuiti gravitazionali e attivò i particolari dispositivi con
cui Daneel l'aveva equipaggiata.
Daneel ricordò Andrew Harlan, il suo amico agente dell'Eternità. Con il suo aiuto
Harlan aveva scelto il futuro migliore per l'umanità, dopo di che aveva distrutto
quella potente organizzazione capace di viaggiare nel tempo e modificare il
futuro. Ma la conoscenza scientifica necessaria per costruire un cronoscafo era
stata salvata, ed era in possesso di Daneel. Sapeva che un giorno sarebbe stato
necessario viaggiare ancora nel tempo; il futuro era ormai sui binari giusti, ma
c'era qualcosa, nel passato, che andava fatto. L'inizio della storia da cui aveva
avuto origine tutto.
Quando Daneel uscì dal cronoscafo la Terra non era più radioattiva. O per
l'esattezza non lo era ancora. Era in città, e molti uomini vestiti buffamente
circolavano per le strade, a piedi o a bordo di veicoli con motori a scoppio.
Tossì, stordito dall'aria satura di gas di scarico. Trovare l'indirizzo che
cercava fu più difficile di quanto non fosse stato trovare la Terra fra i milioni
di stelle della Galassia, ma infine vi riuscì. Salì le scale e si trovò in un
ufficietto pieno di carte, libri stampati e gente che correva avanti e indietro,
rispondeva al telefono, scriveva con curiose macchine rumorosissime. Fermò una
ragazza, e chiese del direttore.
- Vuole vedere il direttore? Ah, sì, venga con me. Sto proprio andando da lui a
portargli queste - disse, caricandosi di una pigna di fascicoli cartacei,
coloratissimi.
Daneel seguì la donna in fondo a un corridoio. Entrarono in una stanza che sapeva
di fumo di pipa, dominata da una grande scrivania dietro la quale sedeva un uomo
dall'aspetto imponente.
- Direttore, - fece la ragazza, - sono arrivate le copie del numero di aprile.
- Ah, bene, dia qui - fece l'uomo, arraffando un paio di copie del fascicolo e
cominciando a sfogliarlo. Daneel sbirciò la copertina: c'era una suggestiva
immagine di una nave che sorvolava una città del futuro, sotto una scritta che
rimpiccioliva verso il fondo come se i caratteri si stessero allontanando. La
scritta diceva "Astounding". Solo dopo un paio di minuti l'uomo sollevò lo
sguardo, accorgendosi della sua presenza. - E lei che vuole? - lo apostrofò.
R. Daneel Olivaw si tirò su gli occhiali scivolati sulla punta del naso.
- E' lei il dottor John Campbell? - chiese intimidito.
- Sì. E lei chi è?
- Mi chiamo Asimov, Isaac Asimov, e vorrei sottoporle qualche raccontino.
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