A cavallo tra gli anni '50 ed i '70, con la proliferazione degli armamenti nucleari, si diffuse nel mondo lo spettro dell'olocausto atomico. Anche in Italia, sia pure con qualche anno di ritardo rispetto agli Stati Uniti, vari scrittori si cimentarono riguardo questa problematica, tanto che si ebbe una serie di romanzi incentrati sul dopobomba sia da parte di autori della letteratura "Alta" come Paolo Volponi, con Corporale, o Carlo Cassola, con Il Superstite, che di autori della letteratura cosiddetta "bassa" o di "consumo, come Emilio de Rossignoli e Giorgio Scerbanenco, ed è proprio di costoro che ci occuperemo oggi.
Di De Rossignoli prenderemo in esame il romanzo H su Milano (Longanesi 1965) e di Scerbanenco Il Cavallo venduto (Rizzoli 1963), questi due romanzi, infatti, pur diversissimi tra loro, presi entrambi, disegnano un ritratto completo dell'Italia dalla catastrofe ad alcune generazioni dopo.
Poco si sa di De' Rossignoli, le uniche notizie biografiche ricavabili da uno dei suoi due romanzi, Lager dolce Lager (De Carlo 1977) lo danno nato in un'isola dell'Adriatico appartenente alla Iugoslavia e successivamente giornalista a Milano. In H su Milano, ci ritroviamo di fronte all'impietoso ritratto di una città maciullata e finalmente i lettori italiani non leggono della solita New York o di Washington ma si ritrovano di fronte alla distruzione di una città che conoscono bene, e gli uomini che nel giro di pochi minuti vengono scagliati in uno stato di ferina abiezione non sono distanti migliaia di chilometri ma sono i nostri propri vicini, disposti a salire sulle spalle degli agonizzanti per un'ultima boccata d'aria. In questo romanzo Milano è una città vera, improvvisamente resa aliena dallo spostamento d'aria che ha scoperchiato le tombe del cimitero monumentale o dall'enorme fenditura aperta sul sagrato del Duomo, ma è comunque una entità perfettamente riconoscibile malgrado la sua topografia devastata. In questa Milano dominata dalle macerie, assistiamo al completo annientamento di ogni senso di umanità, e per i sopravvissuti anche un gesto scontato come bere un sorso d'acqua diventa una lotta per l'esistenza.
Ben diverso è il clima del romanzo di Scerbanenco (1911 1969). Sicuramente la maggior parte dei lettori conosce l'autore come giallista, e infatti nei dizionari della letteratura italiana contemporanea è difficile trovare accenno alla sua breve ma significativa attività nel mondo della fantascienza, limitata ai romanzi Il Paese senza Cielo (1938), Il Cavallo Venduto (1963) ed il romanzo breve L'Anaconda (1967).
Nel romanzo di Scerbanenco l'azione è spostata di alcune generazioni in avanti rispetto al romanzo di De Rossignoli. L'esplosione è ormai lontana, affondata in un ambito quasi mitico, ma i suoi effetti continuano. L'umanità è stata sprofondata in uno stato semi primitivo, tanto che i piccoli insediamenti vengono chiamati "colonie", quasi fossero teste di ponte per la conquista di un territorio alieno e per il romanzo sembra quasi si rincorrano due sole parole, "armi" e "caricatori". Scopo dell'uomo sembra l'incessante ricerca dei caricatori per nutrire i fucili, questi vengono barattati, comprati, venduti, depredati, servono per la difesa ma anche per l'offesa ed un carro incrociato sulla strada può rivelarsi una trappola mortale.
Anche qui abbiamo Milano, ma in questo caso Milano sembra non essere una città vera, quanto il luogo di una falsa utopia; da tutta l'Italia carovane di gente si snodano per le strade malsicure per raggiungere Milano, dove stanno riedificando una città con le case di pietra, ma c'è da chiedersi quanto ciò sia una buona cosa. Per entrare bisogna consegnare tutti propri beni e barattare la propria libertà, chi entra nella città non ne uscirà mai più, perché così vogliono i governanti, ed hanno leggi e soldati per farsi obbedire. Ecco allora, che nelle parole del folle che grida inascoltato alla tendopoli di persone che aspettano di poter entrare, "Andare a Milano è come vendere il proprio cavallo migliore per un sacco di grano guasto", perché ricostruire Milano come la stanno ricostruendo, vuol dire ricostruire la civiltà che ha portato le bombe.
Il romanzo si presenta come particolarmente interessante anche da un punto di vista stilistico, è infatti quasi completamente basato sui racconti o sulle riflessioni dei personaggi, ed è quindi scritto in una lingua "orale" apparentemente "povera" ma di indubbia efficacia nella descrizione degli eventi e degli stati d'animo. Nel risvolto di copertina questo romanzo viene definito il "romanzo segreto" di Scerbanenco, ma forse a ben vedere, stante la sua irreperibilità e la sua forza evocativa, questo è un vero e proprio "romanzo segreto" della fantascienza italiana che merita indubbiamente lo sforzo della ricerca, anche se infruttuosa.
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