Capelli rossi, accesi, ancora fluenti e morbidi sulle spalle scoperte nonostante le continue prepotenze di mani sconosciute. Occhi verdi, intensi e penetranti, racchiusi da ciglia impalpabili. Un naso discreto e labbra sottili di un tenue incarnato. Sulle guance, una spruzzata di pallide lentiggini. I seni sporgenti tra le pieghe delle lenzuola. La carne bianca come la neve, liscia e vellutata più della pelle umana..È la ragazza più bella di cui abbia conoscenza. Ma non dovrei provare queste cose. Non dovrei. L’unità logica mi invia segnali d’errore nell’occhio. Piccole stringhe gialle e rosse pulsano nell’aria. Le ignoro. Frammenti di una vita passata salgono a galla come bolle d’aria dimenticate sul fondo di un lago scuro. Chiudo gli occhi e ricordo e quando ricordo, il volto si addolcisce e la bocca si distende.La vedo, Natasha. Lo sguardo smarrito oltre la linea sbiadita dell’orizzonte ad osservare l’oceano inghiottire l’ultimo spicchio di sole, cullata dallo stormire dolce delle fronde di alte palme da cocco. I piedi e le mani giocano sotto la sabbia fine e si ritraggono al salire di onde spumose. Da qualche parte, odore di pesce alla brace e allegre musiche caraibiche. Un passo, poi un altro, poi un altro ancora, nella sua direzione. In mano stringo una bottiglia di rum. Nell’altra due bicchieri da acqua. Non sono riuscito a trovare di meglio. Basterà? Nel cuore porto tutta la timidezza del primo incontro.
La osservo da giorni. Sono sicuro che è sola, come è sola adesso sotto quella palma. Mi chiedo se se ne sia accorta. Che la seguo con lo sguardo, che la sbircio quando fa la doccia dopo la piscina o quando prende il sole sulla spiaggia, rilucente di abbronzante, o ancora quando gioca a tennis e le si alza il gonnellino. Che l’attendo la mattina, al banco dei cereali e la sera, quando entra nel ristorante con indosso un semplice pareo colorato ed io sono già là, seduto da mezzora, a fingere di mangiare trancio di pescespada. Non riuscirei a sopportare il pensiero di non averle rivolto nemmeno una parola alla fine di questa breve vacanza. E, passo dopo passo, mi chiedo cosa le dirò, se mai riuscirò a dire qualcosa. E mi chiedo cosa risponderà, se mai deciderà di rispondere qualcosa. Mi chiedo tutte queste cose ed altre ancora, prima di domandarle con un sorriso idiota di poter sedere accanto a lei.
Rumori di schiaffi mi risvegliano dal torpore in cui sono caduto. Vedo il mio principale picchiare Natasha. Un codice color rosso mi chiede se voglio riesaminare le immagini appena visualizzate. Sono davvero stato su quella spiaggia? Lancio il comando di raffronto con i chip di memoria a lungo termine. Il processo viene rallentato. Poi si blocca indefinitamente. Davanti a me il mio principale continua a tirare pugni e calci. Non so se tutto questo ha senso visto che si tratta di un organismo cibernetico. Rilancio il processo?
– Questa volta hai toccato il fondo. Un altro cliente si è lamentato. Lo sai quanto mi sei costata? Lo sai quanto mi costa il tuo aggiornamento periodico? E le tasse e le mazzette?
– Ma era un minorenne. Mi ha mostrato dei documenti falsi.
– Che cazzo te ne frega. Non fai l’assistente sociale, bella!
– E poi io…
– Tu cosa?
– Non voglio più fare queste cose. Portami via di qui!
– Oh porca puttana! Che cazzo vi piglia oggi, a voi sintetici? Lo sai cosa sei? Lo sai per cosa sei stata creata? Tu sei una sgualdrina di gomma. Io ti ho comprata. Sei mia. Ti farò riprogrammare. Anzi no, fanculo ai soldi. Ti squarto per vedere che cazzo c’hanno messo nella testa.
Il coltello laser del mio principale risplende nella penombra della stanza. Sulla parete uomini e donne si divincolano componendo figure sempre diverse. Natasha è bloccata sul letto. La lama balugina davanti ai suoi occhi smeraldo. Si agita. Muove le gambe e le braccia. Urla. Urla, inondandomi il canale audio. E io la osservo.
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