Protocollo di Kyoto o meno, le fonti rinnovabili di energia rappresentano il futuro della nostra civiltà. Non fosse altro perché in caso contrario il futuro sarebbe un vicolo cieco evolutivo. Già oggi l’idroelettrico copre una percentuale consistente della produzione energetica mondiale, il geotermico si è ritagliato una nicchia minore ma consolidata, mentre da qualche anno segue un trend di continua crescita il settore eolico, attualmente dominato dall’Europa grazie al contributo di nazioni guida come Germania, Danimarca e Spagna, ma guardato con interesse anche dagli Stati Uniti e dalle potenze emergenti, India in testa. In Italia ogni anno la domanda di energia elettrica registra un aumento di circa il 3% rispetto all’anno precedente, una richiesta soddisfatta per il 71,7% dalla tradizionale produzione termoelettrica (responsabile dell’emissione di CO2 e altri gas inquinanti), per il 10,35% dall’idroelettrica e per una quota di poco superiore al 2% dalle altre fonti rinnovabili (dati 2003). Di questa percentuale, geotermoelettrica, eolica e fotovoltaica rappresentano le componenti più significative.
In Italia come all’estero, se si esclude la fonte idroelettrica, la più antica e ormai matura, la produzione da fonte eolica è quella che presenta le prospettive di crescita più promettenti per i prossimi anni, ma questo non arresta l’impulso alla ricerca nei settori limitrofi. Particolare interesse continua a essere raccolto dal fotovoltaico, anche se tra le “energie” ricavabili dalla radiazione del Sole da qualche tempo stiamo assistendo al sorpasso a destra del solare termico, che ha nel premio Nobel Carlo Rubbia il suo principale sponsor internazionale. A quanto pare, però, non tutti sarebbero concordi nel dichiarare obsoleta la tecnologia dei pannelli solari. In questi giorni è balzata agli onori delle cronache la denuncia dell’ingegner Francesco Trezza, dirigente del Gestore dei Servizi Elettrici, che ha portato alla luce i ripetuti episodi di saccheggiamento di cui è stata oggetto la centrale solare di Serre Persano. Situato in mezzo alla piana salernitana sul basso corso del fiume Sele, alla sua apertura nel 2003 l’impianto dell’ENEL rappresentava la più grande installazione di questo tipo al mondo: 9 sottocampi fissi e un’ulteriore sezione a inseguimento solare, 60mila pannelli distribuiti su 5 ettari e mezzo di terreno, per una superficie esposta complessiva di 26500 metri quadri. Un investimento di milioni di euro. Secondo dati non confermati, nell’ultimo anno sarebbero stati trafugati ben 7000 pannelli fotovoltaici, una notizia che ha incontrato ampia risonanza sulla stampa nazionale come un indizio collaterale della possibile redditività del settore. Se si tratta di una prima mossa mediatica in una più ampia strategia di promozione del solare, è difficile dirlo. Com’è difficile capire quanto possa esserci di vero e quanto di folkloristico in una storia simile, che come nella migliore tradizione nostrana unisce la più ardita spinta verso il domani alla mentalità più retriva, ottusa e ostile al mutamento.
L’energia fotovoltaica, come si apprende in un qualsiasi testo dedicato (dalle dichiarazioni ambientali comunitarie ai documenti di consultazione e divulgazione), è ancora lontana dall’essere economicamente competitiva con le altre fonti energetiche rinnovabili. Il suo costo attuale, legato soprattutto alle tecnologie di fabbricazione e alla manutenzione, non la rende purtroppo appetibile agli investitori. Figuriamoci quale interesse potrebbe suscitare in un contesto tradizionalmente legato alla conservazione degli equilibri economici come è storicamente la malavita organizzata… Anche considerando i vincoli assunti dai paesi firmatari del Protocollo di Kyoto, i costi suddetti non rendono oggigiorno realistico ricorrere a questa fonte, né per incrementare l’autonomia energetica di una nazione, né per ridurre in maniera significativa le emissioni di gas serra. Malgrado questo, viste le peculiarità del fotovoltaico, i governi di potenze quali Germania, Giappone e USA hanno riconosciuto a questa tecnologia una valenza strategica che ne ha fatto oggetto di impegnativi programmi nazionali, orientati però principalmente verso sistemi integrati nelle strutture edilizie.
Tutt’altra situazione, insomma, rispetto alla centrale ENEL di Serre Persano, sperduta nella campagna cilentana lontano dai centri abitati. L’impianto produce 2,5 GWh di energia all’anno, sufficienti a coprire il fabbisogno di un migliaio di famiglie, ma la sua collocazione lo espone alle incursioni dei predoni notturni. L’ENEL non fornisce cifre esatte, ma parla di “danno economico molto ingente” e ammette di essere stata costretta a correre ai ripari assumendo nuovo personale di guardia. Nel corso di un paio di appostamenti notturni, i carabinieri hanno addirittura catturato alcuni membri di una banda che avrebbe trafugato i pannelli in Nordafrica, senza tuttavia riuscire a porre termine al fenomeno. Il comune di Teggiano, sempre in provincia di Salerno, si è dotato da alcuni anni di un campo fotovoltaico da 500 kW installati, con circa ottomila pannelli. Ogni pannello, grande un metro quadro e pesante una ventina di chili, ha un prezzo di mercato di circa cinquecento euro. Nell’ultimo anno, in sei tornate ne sono stati sottratti quasi tremila, per un danno all’amministrazione comunale quantificato in oltre un milione di euro. A differenza del colosso nazionale dell’energia elettrica, la soluzione di allestire un servizio di vigilanza in pianta stabile è impraticabile per il comune di Teggiano, che così vedrebbe evaporare tutti i ricavi. Sono quindi in fase di studio delle alternative che garantiscano una tutela minima, ma la proposta di istituire un registro di matricole simile al sistema di marcatura in uso per i telai delle automobili è ancora in alto mare per la mancanza di uno standard internazionale. Una particolare vite di bloccaggio escogitata da una ditta italiana sembra promettente, ma non è in grado di resistere agli assalti più sistematici e quindi non risolve i problemi di impianti situati in località remote, capaci di offrire tutta la libertà di movimento agli eventuali malintenzionati. Così, nel frattempo, i furti di pannelli solari continuano.
Semplici feticisti delle nuove tecnologie o segugi dell’imprenditoria d’avanguardia? Innanzitutto, per sgomberare il campo da ogni dubbio, basta la cifra per indirizzare subito i sospetti in una ben precisa direzione. 10mila pannelli non possono svanire nel nulla a meno di una precisa volontà in questo senso, e questo ci porta immediatamente a organizzazioni ben strutturate, forti di un solido radicamento sul territorio e di ampi margini di movimento nella regione. E se i massimi sistemi della camorra si concentrano nell’orbita di Napoli, la gramigna attecchisce anche in profondità nella provincia, lontano dai flussi finanziari della metropoli ma forte dei proventi del racket e dello spaccio, legata a una logica organizzativa che dismette la militarizzazione delle zone urbane per vestire i più confortevoli e rassicuranti panni della piccola impresa a conduzione familiare.
Se la manovalanza e l’intellighenzia della criminalità organizzata condividono spesso la stessa ignoranza di base, è anche vero che la rigidità e la reticenza al cambiamento possono amplificare le prime avvisaglie di possibili fonti di ingerenza. Che questi signorotti di provincia abbiano saputo intuire o meno le potenzialità del mercato del futuro, sembra comunque credibile l’ipotesi che impianti come quelli di Serre Persano e di Teggiano possano essere diventati i bersagli strategici in una logica della tensione tutta orientata al mantenimento del vecchio mercato energetico. Mettere in luce la vulnerabilità di una tecnologia ritenuta altamente strategica sul medio-lungo termine, piuttosto che attirare l’interesse dei potenziali investitori, li allontanerebbe da una terra già vessata e penalizzata dalla sua connotazione storica ma che, paradossalmente, per le sue condizioni geografiche particolarmente favorevoli si trova nella posizione di giocare un ruolo di primo piano nello sviluppo energetico del nostro paese, tanto per il fotovoltaico quanto per l’eolico. I grandi istituti criminali sembrano averlo compreso e hanno messo a segno la prima mossa, arrogandosi un diritto di prelazione che i futuri investitori non potranno ignorare. Ancorare la terra a meccanismi di sfruttamento e sopraffazione vecchi di secoli è la logica, meno imperscrutabile di quanto si possa credere, di questi ladri di sole pronti a derubarci, ancora una volta, di una possibilità verde per il futuro. Allo Stato la prossima mossa su questa scacchiera che vede in gioco le nostre sorti.
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