L'indagine di Rydra Wong si snoda attraverso le cinque parti del romanzo tra scenari rutilanti e carichi di magia: dalla Città dei Trasporti e le sue strade notturne popolate di spettri e combattenti e stranissime sottoculture urbane, ai pericolosissimi Cantieri di Guerra di Armsedge in cui si foggiano armi di distruzione di massa nuove di zecca, fino all'ultima frontiera della Frattura, terra di nessuno in mano ai pirati spaziali come Jebel, che la percorrono a bordo delle loro immense navi-montagna. Ma anche "riciclando" questi moduli tipici della fantascienza d'avventura, Delany trova il modo per mostrarli da un punto di vista nuovo e originale, che va dalla costituzione degli equipaggi dei vascelli (con spettri discorporati a gestire i sistemi di rilevamento sensorio della nave - Occhio, Naso e Orecchio - il pilota innestato direttamente con la nave in una ibridazione trascendente e i navigatori con le loro strane logiche familiari) all'affresco delle battaglie spaziali, che grazie a suo stile elegante e levigato assumono la dignità di piccole perle nell'economia generale del capolavoro. La maturazione della protagonista che si compie lungo lo svolgimento del romanzo tocca una maggiore efficacia grazie alla molteplicità dei punti di vista attraverso i quali viene inquadrata. E con lei assume statura epica la figura del Macellaio, l'uomo/alieno che inconsapevolmente custodisce il segreto di Babel-17.
La lingua misteriosa si rivela così essere un sofisticato meccanismo di controllo, una lingua artificiale che l'Autore imparenta con alcuni dei più celebri linguaggi di programmazione di quegli anni (Fortran, OnOff e Algol), che annichila il concetto di individualità e in questo modo avvince la volontà stessa di chi matura la conoscenza delle sue strutture sintattiche e grammaticali. Delany si rifà qui all'ipotesi di Sapir-Whorf, secondo cui la formulazione linguistica dei concetti determinerebbe la visione stessa del mondo da parte del soggetto. Babel-17, per intenderci, è una lingua che non contempla l'esistenza di un "io", né direttamente come primo pronome personale né attraverso eventuali costruzioni alternative. Ma il suo blocco, per quanto totale e spietato nell'isolare il soggetto dal resto del mondo "esterno" al linguaggio, non è invincibile. Come per tutti i linguaggi procedurali imperativi, basta un semplice paradosso per scardinarne la solidità dell'impianto. E così si compie il superamento del limite e con esso la Rivelazione finale, che come insegna però Dick non è mai definitiva...
Babel-17 rappresenta in definitiva un'opera memorabile, una prova incontestabile della straordinaria maturità del suo Autore, il cui insegnamento non a caso echeggia nelle opere dei principali interpreti del genere emersi nei decenni successivi, da Vernor Vinge a William Gibson, passando per Dan Simmons e M. John Harrison; una lettura consigliatissima agli appassionati del genere e non solo; un'esperienza che trascende il piacere della lettura fine a se stessa, addentrandosi nei territori della speculazione più ardimentosa e seducente. Un capolavoro assoluto.
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