Lo show gode di una discreta longevità (cinque stagioni per 156 episodi) ed ai già eccellenti script di Serling si aggiunge, come detto, il fondamentale contributo di due maestri del Racconto Impossibile.

Tanti, gli episodi di Twilight Zone meritevoli di una citazione: Gli Invasori (The Invaders, script di Matheson) narra la storia, praticamente senza dialoghi od effetti sonori, di una donna – la Agnes Moorehead, protagonista di Vita da Strega – impegnata a lottare contro minuscoli ma agguerriti aggressori da un altro pianeta. Il colpo di scena finale, tipico della serie, rivela i misteriosi invasori come astronauti della Terra sbarcati in un mondo di giganti. In Ululati nella Notte (The Howling Man, script di Beaumont) un viaggiatore americano, incurante degli avvertimenti di un monaco – l’immenso John Carradine -, libera un uomo prigioniero di un abbazia, scoprendo troppo tardi di aver lasciato fuggire il Diavolo in persona. Tempo per leggere (Time Enough at last, script di Serling) introduce un impagabile Burgess Meredith nel ruolo di un bibliofilo, nevrotico e misantropo, unico sopravvissuto di una guerra nucleare. La gioia di poter finalmente leggere all’infinito, senza essere disturbato da moglie o capufficio, non dura molto. Un banale incidente frantumerà i suoi occhiali rendendolo “cieco”, circondato da una montagna di libri.
Twilight Zone funge da trampolino di lancio anche per attori in via di affermazione e registi in cerca di gloria: un giovanissimo Robert Redford, il William Shatner futuro Kirk di Star Trek, il Ross Martin di Wild Wild West. A guidarli, dietro la macchina da presa, futuri premi Oscar come Stuart Rosemberg (Nick mano fredda) ed abili artigiani come Jack Smight (Detective Story) o Robert Parrish (Il Meraviglioso Paese). Il punto di forza dello show fu comunque quell’evidente gusto del paradosso che Serling si premurò di rimarcare in ogni singolo episodio della serie: personaggi e contesti “normali” puntualmente stravolti da un evento straordinario e terribile che trascinava il protagonista/i, di sorpresa in sorpresa, ad un folgorante climax finale.
La serie chiude i battenti nel 1964 fra risultati notevoli ma discontinui, complici gli errori di gestione da parte dei dirigenti CBS (il passaggio nella quarta stagione da mezz’ora ad un’ora per episodio,) ma Serling si sente comunque motivato nel proseguire il percorso intrapreso e propone la sua idea a network concorrenti. Non potendo usare il medesimo nome (ne aveva incautamente ceduto i diritti al network) il nuovo show ci mette qualche anno a decollare. Ma l’8 novembre 1969 la NBC manda in onda l’episodio pilota di Rod Serling’s Night Gallery. Stavolta il concetto-base è quello di una galleria d’arte i cui quadri rievocano ciascuno una storia macabra o fantastica, naturalmente introdotta da Serling in persona. Il pilot dura un’ora e mezza e si divide in tre episodi (The Cemetery; Eyes; The Escape Route) diretti da Boris Sagal, un giovanissimo Steven Spielberg e Barry Shear. In tutto verranno prodotti 45 episodi (spesso divisi in più storie per puntata), dal ’70 al ’73, che finiranno comunque con lo scontentare il suo creatore a causa di continui dissidi con la rete. Due anni dopo Serling morirà per un attacco cardiaco, al termine di un operazione durata dieci ore. Non prima di aver lasciato numerose tracce di sé anche nel cinema, a cominciare dalla sceneggiatura di Il Pianeta delle Scimmie (1968) di Franklin J. Shaffner.
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