Anche il cinema, negli anni 60, prova ad affrontare il tema. Il primo è Ecce homo: I sopravvissuti di Bruno A. Gaburro (1968) con la storia dell’unica donna sopravvissuta in un mondo di soli uomini, interpretato da Irene Papas e Philippe Leroy. Ben altra forza ha Il seme dell’uomo di Marco Ferreri (1969). Della crudeltà, Ferreri farà una poetica, e non sorprende che anche questo film, uno dei suoi primi, termini con l’autodistruzione il triangolo fra l’intellettuale che, nel vuoto del mondo spopolato, cerca di raccogliere cimeli della civiltà autodistruttasi, la sua compagna pratica che vuole formare una famiglia e la nuova donna che compare sulla scena. Ma il cinema è soprattutto questione visiva, e nella memoria rimangono alcune immagini straordinarie, soprattutto il gigantesco scheletro di una balena abbandonato sulla spiaggia e che fa da sfondo per molti episodi chiave. Prima del gigante annegato di Ballard, la SF italiana sta costruendo una sua New Wave.
Ritratto della bomba
Se gli anni 60 leggono il dopobomba in una varietà di stili (che, come abbiamo visto, trovano eponimi negli anni a venire), nel decennio successivo l’atteggiamento New Wave si consolida definitivamente, con risultati a volte notevolissimi, storie in cui più che la trama conta la scrittura. Le riviste, come sappiamo, sono Galassia e Robot.Una perfetta inaugurazione si ha sulla prima delle antologie italiane di Galassia (Destinazione uomo, n. 113, 1970), con Ritratto del figlio di Vittorio Curtoni. Seguendo soprattutto Sturgeon, il racconto si immerge in profondità nei rapporti umani, in dilemmi psicologici che hanno subito una radicale modifica a causa degli effetti della scienza e della tecnologia. In “un’oasi poco malata in quel deserto di radiazioni che era l’Italia”, in cui il mondo sottopone ad angherie e persecuzioni gli “inconvenienti delle radiazioni”, cioè la nuova generazione di mutanti. Mutanti che forse sono una metafora generazionale, i giovani di quegli anni 70 pronti a lasciare il mondo dei padri, “una diaspora che avrebbe fatto sorgere la società del futuro”. Dal dopobomba, forse, nascerà l’utopia o quantomeno una possibilità di nuovo incontro fra padre e figlio.
Su questo materiale Curtoni si basa per il suo romanzo del 1972, Dove stiamo volando (Galassia 176). La mutazione del protagonista è l’assenza di un sesso ben definito; partito verso il ghetto di Nuova Parigi, Charles scopre la sua femminilità, trova l’amore, e scopre che il ghetto non offre la speranza di uno spazio autonomo protetto, e si dirige nuovamente verso il luogo di origine. Se nel racconto il padre cercava il figlio, qui il figlio cerca di tornare dal padre. In una fantascienza che ha imparato anche dalla space opera sessuale di Delany e Le Guin (o che comunque è in sintonia con le sue sensibilità), contrappuntata da una fondamentale colonna sonora rock, le atmosfere intimiste e i monologhi interiori di Dove stiamo volando costruiscono lentamente un rivolgimento finale probabilmente necessario, che rifiuta di risolvere in modo definitivo la lotta dei rapporti umani contro la crudeltà e (parola chiave del libro) l’assurdo.
Nella seconda delle antologie di Galassia (Amore a quattro dimensioni, n. 137, 1971), Dove muore l’astragalo di Livio Horrakh ci trasporta in un diario di viaggio nel Vicino Oriente. Se in quegli anni tanti miti di massa vedevano nel Terzo Mondo una fonte di rivitalizzazione per l’Occidente, qui Kerouac incontra l’influsso di Ballard. Come il mondo, anche l’individuo in questo dopobomba si spinge verso l’autoannullamento. All’opposto, i personaggi di Nella sfera di Vittorio Catani (in L’eternità e i mostri, Galassia 168, 1972; rist. in L’essenza del futuro, Perseo 2007) sono mossi da una irrefrenabile volontà di sopravvivenza. In poche pagine, si tratteggia una civiltà a bassa tecnologia, in cui si diffondono poteri psichici, che riprende molto da Pangborn. Le vicende sono tragiche per il gruppo e l’individuo, ma il protagonista continua a crescere, e il nuovo mondo a consolidarsi. In fondo, come dice il romanzo ucronico di Pierfrancesco Prosperi, Seppelliamo re John (Galassia 182, 1973), la scelta fra vita e distruzione è sempre fra universi paralleli alternativi. E la SF italiana le esplora entrambe, con meno certezze del più celebre di tutti i dopobomba del decennio, Il vecchio e il bambino di Francesco Guccini, una canzone che prende fino in fondo la strada del rimpianto per il passato.
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