Il seme della bomba
Ripartiamo dagli italiani pubblicati da Urania durante la gestione di Giorgio Monicelli: un raro tentativo di costruire una scuola di autori popolari SF in Italia. Forse per un inizio di presa di distanza dallo shock del 1945, questi romanzi riescono a presentare un minimo di speranza. Imparare dalla storia sembra possibile: questo è il messaggio del sottogenere, tipicamente italiano, delle storie “fanta-archeologiche” su Atlantide e i continenti perduti. Nel più ottimistico di tutti, L’Atlantide svelata di Emilio Walesko (Urania 31, 1954), in realtà, sono stati gli stessi abitanti del continente nascosto a imparare, mentre stavano padroneggiando una sorta di fusione nucleare. Fra quelle dei trionfi scientifico-tecnologici, una delle storie che raccontano ai visitatori è quella del territorio maledetto, in cui un’esplosione aveva causato una catastrofe ecologica marina. Il monito lasciato da una “zona” di distruzione parziale tornerà in successivi testi letterari (di Raiola, Malaguti, Catani, Vernier). Nel romanzo scritto dal futuro sceneggiatore cinematografico Ernesto Gastaldi (ora dimenticato, ma fra i pochi italiani a essere pubblicato col suo nome in una rivista USA, Fantasy and Science Fiction) con lo pseudonimo di Julian Berry, Iperbole infinita (Urania 220, 1960), il mito della fine di Atlantide si rivela basato su un’ecatombe nucleare. Con molta umiltà, questi romanzi pongono una domanda importante: la storia si ripeterà o saremo in grado di prendere un’altra direzione? La risposta, giustamente, rimane aperta. La materia, molti anni dopo, sarà ripresa da un fumettista della stessa generazione, portandola ai massimi risultati. In Mu, la città perduta (1993, ma creato cinque anni prima) Hugo Pratt porta il suo eroe Corto Maltese in un’avventura giovanile, ambientata negli anni 20. Leggende umane e animali (i primi narratori, pur laconici, sono i pesci) rivelano che la civiltà scomparsa, insieme all’immortalità, aveva scoperto la guerra, che l’ha condotta all’autodistruzione.
L’incontro con un’antica civiltà distrutta è un motivo che lascia il segno anche altrove, trasportato su pianeti lontani. Il romanzo di esordio di Robert Rainbell, ovvero Roberta Rambelli, I creatori di mostri (Cosmo Ponzoni 33, 1959, ora ristampato in Urania Collezione 51, 2007) porta il narratore all’incontro con gli esiti autodistruttivi della hubris scientifica; le battute finali rivelano l’allegoria: "Abbiamo dovuto correre attraverso una galassia sconosciuta alla ricerca di un avversario perverso, potente e mostruoso, e scoprire che aveva la nostra stessa faccia." Ma questa certezza servirà, nel futuro, a trattenere l’umanità sull'orlo della follia collettiva. Simile è il discorso in Satana dei miracoli (Galassia 69, 1967), un romanzo a metà fra SF e fantasy (un’epopea fantateologica nella vena di C.S Lewis), di Ugo Malaguti, in passato assiduo esploratore di Atlantide. Sul pianeta raggiunto dai fuggitivi da una spietata distopia teocratica, uno degli incontri più efficaci è quello coi Lontani, incrocio fra zingari ed ebrei erranti, che vagano liberi per il loro mondo, apparentemente in pace con tutto. Ma anche i Lontani sono tormentati dal ricordo di innaturali “nuvole” che li hanno strappati alla civiltà tecnologica, un ricordo riportato alla luce dai “roghi” religiosi - e demoniaci.
Nel racconto, invece, la dimensione è drasticamente più pessimistica. In due storie uscite, rispettivamente, nel 1958 e nel 1962, il bersaglio dell’apologo è, direttamente, la natura umana: le atmosfere di Ballard, nella SF italiana, sono già dietro l’angolo. Hanno rubato la Luna di Ivo Prandin, uscito su Oltre il Cielo (e ristampato nell’antologia di Catani et al., Cronache dal futuro, Milella 1995), è un bellissimo gioco di scatole cinesi fra gli omuncoli di un mondo simulato e regredito all’età della pietra a causa di una guerra nucleare, e il disastro causato dalla guerra nel mondo reale, che con un simile esperimento dimostra l’intenzione di proseguire nella stessa direzione suicida. E fra “carnali” sull’orlo dell’estinzione e “automatici” sopravvissuti alla guerra globale, nel beffardo finale di L’isola di Carlo Della Corte (in Pulsatilla sexuata, Sugar), non meno distruttivi sono i novelli Adamo ed Eva della nuova terra.
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