Jericho, la città immersa nel cuore della valle del Canaan. Jericho, la città conquistata e distrutta dagli ebrei, emblema della lotta di un popolo per la conquista di una terra e di una casa. Jericho, adesso, diventa il simbolo della disfatta di una civiltà, un punto di osservazione dal quale assistere al disgregamento dei valori e dei capisaldi di una società basata sullo scambio di tutto, e che improvvisamente si trova con nulla da scambiare, niente da comprare, nessuna cosa da invidiare o da irridere.
Può sembrare una definizione esagerata per un semplice serial televisivo, eppure Jericho ha rischiato di essere tutto questo: un esempio dell’apocalisse prossima ventura vista dagli occhi di chi ha sempre avuto tutto, e che di colpo si trova davanti al naso, solide come granito, antiche paure e gelidi fantasmi di un passato ritenuto sepolto. Dopo i buoni riscontri ottenuti negli USA, la prima e forse unica stagione di questo telefilm approderà il prossimo 5 giugno sui nostri televisori, trasmesso in prima serata da RAI 2.
L’incipit narrativo del serial è di sicuro impatto. Nella profondità dei paesaggi del Kansas rurale, quello della tradizione americana più pura e autentica, la vita degli abitanti di Jericho si svolge nella quotidiana banalità. Finché due particolari eventi, in apparenza scollegati tra loro, determinano l’irruzione violenta del mondo esterno nel circuito chiuso di una comunità perfetta. Il primo di questi eventi è il ritorno a casa di Jake Green, figlio ribelle e prodigo al tempo stesso del sindaco della città, con tutto il carico degli ultimi cinque anni trascorsi come pilota in Afghanistan e in Iraq, di militare e forse mercenario, di silenzi e imbarazzi che esplodono nella comunità. E l’esplosione interiore si trasferisce all’esterno con il secondo micidiale evento, anch’esso scaturito dal passato come il giovane Jake: un fungo atomico che spunta laggiù in direzione di Denver, terribile nella sua fredda e asettica bellezza. E poi il nulla; il colore del televisore sintonizzato su un canale morto che riempie il cielo e le anime. In città dapprima prevale lo sconcerto e la voglia di minimizzare; man mano però l’improvvisa interruzione dell’energia elettrica, delle comunicazioni telefoniche, dei canali radiofonici e televisivi, fanno emergere paure e orrori che il crollo del muro di Berlino sembravano aver cancellato per sempre. Le notizie sono incerte, i pochi forestieri che arrivano non sanno dare spiegazioni, i rifornimenti di cibo e altre materie si interrompono, e i tentativi di raggiungere le altre città si infrangono contro la barriera psicologica degli orrori di ciò che si potrebbe trovare dall’altra parte. Che sia un episodio isolato, circoscritto a una sola regione oppure l’inizio di una guerra globale, l’evento lacera il tessuto sociale di Jericho. Le tensioni latenti tra gli abitanti deflagrano, famiglie e clan si dividono e si alleano mentre la lotta per la sopravvivenza inizia a delinearsi; mentre un misterioso assassino comincia a lasciare una scia di sangue sul proprio percorso e una donna misteriosa, morta in un incidente stradale poco prima dello scoppio della bomba atomica, potrebbe rappresentare la chiave dell’intera vicenda.
Arriva Jericho
Dopo la decisione inaspettata di sospendere la serie negli USA, Jericho, una delle migliori serie fantastiche del 2006, arriva anche in Italia
È evidente come il primo debito di Jericho verso il passato lo si trovi in un film del 1985, The Day After, che, pur nelle sue inverosimiglianze e nelle sue contraddizioni hollywoodiane, ebbe il pregio di mostrare in pieno viso gli effetti devastanti della Bomba, togliendo ogni velleità di speranza a coloro, ed erano in parecchi, che ancora in quegli anni sostenevano che una guerra atomica potesse essere combattuta e vinta. Venendo a un passato più recente e principalmente televisivo, il rifiorire della fantascienza televisiva con l’avvento di serial quali Battlestar Galactica e Lost ha senza dubbio posto le premesse per la messa in cantiere del progetto Jericho. Soprattutto Lost appare il primo punto di riferimento, in quanto proposta di una fiction che mescola thriller, fantascienza e saldo interplay psicologico tra i personaggi, pur contaminandolo con eccessi di trame e sottotrame tipiche della disordinata genialità di gente come J.J. Abrams e Damon Lindelof. Nel caso di Jericho i suoi creatori, Jonathan A. Steinberg e Josh Schaer, e l’autore della sceneggiatura dell’episodio pilota, Stephen Chbosky, hanno invece preferito attenersi a una struttura narrativa più lineare e meno intrecciata, costruita su un nutrito numero di personaggi dalle caratteristiche ben delineate e dal passato oscuro. Questo non è stato sufficiente però per togliere a Jericho il sapore di un Lost alla rovescia: mentre nella creatura di Abrams un gruppo di persone si trovano escluse dal mondo in seguito a un disastro aereo, in Jericho è il mondo ad essersi autoescluso, abbandonando una piccola enclave al proprio destino. Come se una mente invisibile avesse intrapreso un esperimento su un insieme di cavie: isolare una comunità e studiarne il comportamento. Ma mentre in Lost i naufraghi scoprono di avere tra le mani il destino dell’umanità, in Jericho i “naufraghi” sono in balia di sé stessi, ignari spettatori e protagonisti della nemesi della civiltà di cui riescono a comprendere solo pochi barlumi. La grande tragedia umana si riverbera nelle piccole vicende dei singoli, in un meccanismo narrativo noto e oliato che, pur assumendo a volte i tratti di una soap opera, scandisce in ritmi narrativi veloci e ben calibrati tutto il senso dell’ignoto e della paura che ognuno di noi proverebbe in una simile situazione. La domanda principale che il telefilm pone allo spettatore è: questo è ciò che fanno queste persone, ma tu, che faresti?
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