Perché abbiamo memoria delle cose? Cosa succede nelle nostre sinapsi, nelle nostre cellule cerebrali, quando ricordiamo? Cosa possiamo fare per rendere il ricordo – di qualsiasi evento o informazione – più duraturo, al limite dell'incancellabile?

Un team di ricercatori giapponesi, capitanato da Masaru Tomita, è riuscito a inserire le informazioni da memorizzare direttamente nel DNA di alcuni batteri creando, così, memorie biologiche basate sulla combinazione dei caratteri presenti all'interno del codice genetico. In tal modo, si potranno dare vita a sequenze di informazioni in grado di mostrare un filmato, di far udire un file sonoro, di far leggere un documento.

Per non danneggiare in modo invasivo il codice genetico di questi batteri, portandoli a chissà quale mutazione, è stato previsto che la scrittura delle informazioni venga effettuata su alcune zone morte del DNA stesso - quattro per la precisione - così da scongiurare anche il pericolo di perdita dei dati inseriti.

E' evidente che se questo metodo rivoluzionario divenisse affidabile (da tutti i punti di vista, anche quello relativo alle mutazioni genetiche) la carta, i device al silicio, qualsiasi manufatto umano, saranno sostituiti dagli elementi naturali e biologici come l'acqua e, appunto, i batteri o organismi più complessi. Ci avvicineremmo così, voi pensate, all'essere senziente che ricorda non perché coltiva la memoria attraverso tecniche cerebrali antiche quanto l'uomo, ma perché ha subito un trapianto d’informazioni in un'area morta delle sue cellule? L'atto del ricordare apparirà come un'evoluzione potenziata dalla biologia postumana, una sorta di ricordo che è cosciente di se stesso?