Dal cuore della Siberia, torniamo alla provincia rurale americana con Cronache del dopobomba (1965), titolo emblematico di Philip K. Dick che nell’originale Dr. Bloodmoney, or How We Got Along After the Bomb si rifaceva in maniera esplicita al capolavoro kubrickiano Dr. Strangelove or: How I Learned to Stop Worrying and Love the Bomb, tratto nel 1964 dal romanzo Red Alert di Peter George (1958). Scritto nel 1963, Cronache del dopobomba reca gli echi della crisi missilistica cubana del 1962 e rappresenta l’opera più emblematica di Dick ambientata nei territori del post-catastrofe: attraverso i molteplici punti di vista che riflettono diversi membri di una comunità californiana, ne seguiamo i protagonisti alle prese con le questioni quotidiane (quasi minimaliste) legate alla difficile sopravvivenza all’olocausto. Il maestro dell’inquietudine contemporanea riesce in un capolavoro di equilibrismo stilistico a bilanciare l’impatto visionario tipicamente fantascientifico con la sua vocazione letteraria ai moduli del mainstream. Così dopo un avvio di ricostruzione storica, la “suggestiva” ambientazione postapocalittica tratteggiata con autentiche pennellate d’autore ci proietta bruscamente nel futuro, per cedere via via il passo alle istanze della critica sociale, della satira sulla schizofrenia dell’America di quegli anni, e di una profonda riflessione esistenziale sulla condizione umana che a tratti sconfina nel nichilismo più cupo. Beffardamente, il più negativo dei protagonisti messi in campo da Dick fa di nome Hoppy, e in maniera piuttosto anticonvenzionale è anche afflitto da un grave handicap: Hoppy Harrington è infatti un focomelico, vittima della talidomide (un farmaco somministrato come antiemetico a donne in gravidanza, balzato tristemente agli onori della cronaca nei primi anni Sessanta a causa delle gravi malformazioni indotte nei feti), miracolosamente scampato all’olocausto ma per nulla speranzoso, intenzionato com’è a usare i suoi straordinari poteri telecinetici, in grado di infliggere la morte a distanza, per gli scopi più meschini. A questa entità luciferina (una sorta di ennesima variazione dell’archetipo demiurgico tanto caro all’autore) si contrappone un’altra figura semidivina, questa volta per la sua irraggiungibilità, dovuta a una trascendenza molto… terrena: l’astronauta Walt Dangerfield, al momento dello scoppio delle ostilità, era in procinto di partire per Marte ma l’olocausto lo sorprese in orbita. La distruzione della tecnologia terrestre e il declino della civiltà che seguirono al disastro nucleare finirono per intrappolarlo nella stazione spaziale con sua moglie: la donna, colta da una crisi depressiva, si sarebbe suicidata di lì a breve. Dangerfield, che con forza e coraggio affronta nella solitudine più completa il dolore di questa tragedia personale, incarna l’equivalente positivo di Hoppy Harrington: non teme di farsi carico delle sue responsabilità di fronte a quello che resta del mondo e della società e, anzi, provvede a dispensare dall’alto di un satellite obbligato a orbitare in eterno intorno a una Terra morente una pioggia radiofonica di speranza e fede nel futuro. “A lui era rimasto il ruolo di tesoriere della memoria, a lui il compito di ridare frammenti di bellezza del mondo perduto, trasmettendo via satellite la musica dei nastri ricevuti in dotazione alla partenza, leggendo i capolavori dell’umanità andati distrutti". Nelle Cronache dickiane abbiamo quindi due figure tragiche dal marcato carattere simbolico: un mutante che si avvale dei suoi poteri per rivalersi sul mondo e sul trattamento riservatogli dalla sorte e dai suoi stessi simili, e un astronauta isolato dal resto dell’universo e che tuttavia rappresenta l’unico punto di riferimento per milioni di sopravvissuti e migliaia di comunità rurali. Ma entrambi non sono privi di caratteristiche che li sottraggono a una manichea dualità tra il Bene e il Male: hanno ciascuno rispettivamente i propri slanci e le proprie debolezze, come tutti gli uomini, ma indiscutibilmente sono quelli che si impongono su tutti gli altri, sovrastandoli in virtù dei capricci di un destino beffardo. A muoversi sotto l’influsso psichico e morale delle rispettive forze contrarie sono tutti gli altri personaggi, sospesi fin dall’inizio in un’atmosfera di incertezza e precarietà, che spazia su diverse bande dello spettro dell’angoscia, fino a insinuare il sospetto che a scatenare l’inferno nucleare non sia stata nemmeno una guerra con i “rossi cattivi”, quanto piuttosto un errore umano, un difetto nello scudo difensivo di Washington. In questo scenario facciamo progressivamente la conoscenza dell’instabile Bruno Bluthgeld (il Bloodmoney del titolo), scienziato di origini ungheresi additato da qualcuno come il vero responsabile della Terza Guerra Mondiale, del giovane Stuart McConchie, il collega di colore di Hoppy verso cui sviluppa un senso di disagio e ripugnanza, e soprattutto di Edie Keller: una bambina concepita il giorno stesso dell’Apocalisse, quando sua madre Bonny aveva fatto l’amore con uno sconosciuto commesso viaggiatore in un gesto inconsapevole di animalesca volontà vitale, e che ora reca nel suo stesso corpo il segno di quel giorno. Nel suo grembo, ridotto a una sorta di appendice, vive infatti il suo gemello mai nato, un’entità tanto sottosviluppata organicamente quanto psichicamente complessa, provvista com’è di poteri psichici con cui può addirittura controllare le azioni di altre persone, arrivando a contrapporsi alle stesse manie di onnipotenza di Hoppy Harrington.
Il fratellino di Edie e l’astronauta-deejay sono, ciascuno a modo suo, l’alter-ego di Dick: nel primo si manifesta infatti la sua ossessione – mai sopita, anzi ripresa con maggiore vigore in opere successive come il malinconico Scorrete lacrime, disse il poliziotto del 1978 – per la prematura scomparsa della sua gemella (Jane Charlotte Dick), morta a sole cinque settimane dalla nascita; nell’altro assume forma e concretezza tutto l’estro eclettico dell’autore, lettore onnivoro, appassionato di musica classica e filosofia e grande conoscitore della cultura popolare moderna. Ma tutti gli altri personaggi incarnano in qualche misura elementi ricorrenti nella sua opera, dalla natura fredda e calcolatrice delle donne al contrasto sociale per un qualche tipo di diversità.
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