Come diceva il Dottor Stranamore nell’indimenticabile capolavoro di Stanley Kubrick, “la deterrenza è l’arte di creare nell’animo dell'eventuale nemico il terrore di attaccare. Ed è proprio a causa dei congegni che determinano la decisione automatica irreversibile, escludendo ogni indebita interferenza umana, che l’ordigno “Fine di Mondo” è terrorizzante, eh, eh, eh, e di facile comprensione. E assolutamente credibile e convincente”.
Ipse dixit.
E se qualcosa dovesse andare storto?
La fantascienza è piena di storie che cominciano e si svolgono dopo la fine del mondo. Citare tra tutti i titoli del filone catastrofista e post-apocalittico anche solo i più meritevoli sarebbe un’impresa titanica, ma forse questo viaggio alla scoperta delle storie che dopo l’Armageddon vedono l’uomo aggirarsi per le lande di un pianeta stravolto o addirittura irriconoscibile saprà riservare qualche sorpresa anche per gli irriducibili della distruzione a caccia di emozioni forti. Nelle visioni di scrittori, registi e artisti, il mondo del giorno dopo ricade in due principali fasce di probabilità: da una parte si prospetta il collasso ecologico del pianeta, dall’altra si ha quella che potrebbe essere intesa come una sorta di rivalsa della Natura sul parassita-uomo.
Il primo troncone raccoglie una ricca galleria di opere più o meno direttamente riconducibili al genere: dal 1984 di Orwell al Cacciatore di Androidi di Dick, dal Deserto d’acqua di J.G. Ballard all’incubo totalitario di Eclipse (e della trilogia di A Song Called Youth) di John Shirley, dai Sopravvissuti della TV alle trilogie cinematografiche di Mad Max e Terminator, passando per le tavole dell’Eternauta o di V per Vendetta, giusto per fare qualche titolo, il mondo del dopo-catastrofe vede l’umanità affollarsi nelle città o negli ultimi avamposti abitabili, abbandonata al proprio destino o in balia di spietati sistemi dittatoriali di stampo fascista. E il protagonista replica (quasi) sempre fedelmente lo stampo del cavaliere solitario, in lotta per riportare un barlume d’umanità in un mondo disumano e snaturato. La scintilla della speranza a volte fiorisce, a volte no. Amen.
Nel secondo abbiamo invece una contrapposizione di tipo diverso tra l’ambiente e i sopravvissuti. Questi ultimi sono sempre spossati e prossimi al tracollo finale, ma la Natura si è ripresa dal disastro molto più velocemente di quanto non sia riuscita a fare l’umanità, con la conseguenza di proporre una sfida diversa ai superstiti: che non è più una questione nuda e cruda di sopravvivenza, ma riporta in ballo il tema del futuro attraverso il problema della ricostruzione. La Terra non è più tabula rasa, ma ripropone habitat rurali ai suoi ultimi inquilini, imponendo la necessità di adattarsi a un livello tecnologico notevolmente inferiore rispetto agli standard del pre-catastrofe. È questa un’altra differenza evidente che discrimina tra i due approcci al giorno-dopo: il collasso ecologico si accompagna quasi sempre al reimpiego della tecnologia ante-guerra e ai suoi timidi sviluppi, spesso condotti nella chiave del controllo cui tendono i regimi al potere; la rinascita della Natura si compie invece nell’ottica di un ritorno alle origini, che se non è l’Arcadia mostra comunque talvolta la tendenza di idealizzare un passato bucolico, pastorale. Ma nelle opere più valide, la regressione non è così semplicistica, e anzi alla riflessione sul recupero delle radici si accompagna spesso una resurrezione della tecnologia propugnata come strumento comunque indispensabile per un progresso sostenibile.
Emblematico è a questo proposito l’anime Conan, il ragazzo del futuro di Hayao Miyazaki, basato su un juvenile dell’americano Alexander Key: dal malinconico romanzo The Incredible Tide (1970, da poco tradotto in Italia da Kappa Edizioni), il maestro giapponese ricavò la sua opera in 26 episodi, trasmessi per la prima volta nel 1978. Il Giappone, è risaputo, ha un conto in sospeso con la Bomba e nella sua evoluzione culturale dal secondo dopoguerra non ha mai mancato di infilarci di mezzo una catastrofe atomica, una sorta di frecciatina nemmeno tanto subliminale indirizzata ai responsabili (attivi e passivi) di Hiroshima e Nagasaki (come dimenticare il cult movie Akira di Katsuhiro Otomo oppure alcune visioni di Sogni, il capolavoro a episodi del maestro Akira Kurosawa). Non stupisce quindi che il romanzo per ragazzi di Key sia stato subito ripreso nel Sol Levante.
Il mondo di Conan è quello che resta di una catastrofe nucleare compiutasi nel 2008, prima che lui nascesse. Il giovane è l’ultimo superstite di una disperata spedizione orbitale che cercò rifugio nello spazio: il razzo che trasportava i profughi precipitò però su un’isola abbandonata, un promontorio affiorante dall’oceano che ha sommerso la quasi totalità dei continenti. Sull’Isola Perduta Conan viene cresciuto dal nonno, che non ha nessun rimpianto per la civiltà che provocò il cataclisma. La loro vita scorre tranquilla e serena fino al ritrovamento del corpo di una ragazzina nelle acque che sono il campo delle battute di pesca subacquea di Conan: la naufraga è ancora viva e, ripresasi dopo le cure che le vengono prestate da Conan e dall’anziano, si prepara a sconvolgere le loro vite con una incredibile rivelazione. Il mondo non è stato interamente distrutto, ma c’è della gente che ha trovato riparo sull’isola di Hyarbor (High Harbor, nel romanzo) dove ha avuto modo di ricostruire in armonia una società ideale, ed è quella la destinazione di Lana. All’arrivo di un aeroplano con a bordo due ufficiali di Indastria (Industria, nel romanzo di Key) incaricati di recuperare la ragazzina, Conan assisterà impotente all’assassinio del nonno e partirà con la ragazza per un’avventura ricca di sorprese attraverso quello che resta del mondo: su isole solo in apparenza disabitate dove i mercanti del sottomarino Barracuda raccolgono plastica da rivendere alle catene di montaggio di Indastria, in remoti avamposti dedicati al recupero dei relitti navali, nelle viscere della città-industria e tra i vicoli della sterminata baraccopoli sovrastata dalla sua imponente Torre del Sole, ultimo totem della civiltà estinta, e infine ad Hyarbor, l’isola paradisiaca che oppone il suo modello umano all’oppressione fatta di schiavitù e sfruttamento che detta legge a Indastria.
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