Continua la nostra personale ricerca di opere da inserire nel fantasmagorico e virtuale catalogo della “fantascienza umanistica” (che altrove abbiamo chiamato anche meta-fantascienza). Si tratta di quegli autori che, quasi inconsapevolmente, scrivono di tematiche proprie della fantascienza senza però venir riconosciuti e catalogati come autori di genere.
Le motivazioni di questa esclusione vanno ricercate nell’approccio che questi autori hanno nel trattare lo spirito della fantascienza. La caratteristica principale del genere letterario che ci è così caro è senza dubbio la capacità di far fronte ad un anelito dell’uomo, alla sua incessante spinta verso la conoscenza del domani, verso l’analisi della società in cui vive e delle direzioni in cui essa evolve, verso l’alba del giorno dopo per intravedere nelle luci del mattino l’uomo nuovo che sarà.
Ebbene, la fantascienza, probabilmente per la sua origine anglosassone, ha trattato questo impulso conoscitivo sempre con un approccio di tipo iper-tecnicista, ingegneristico si potrebbe quasi dire.
Gli autori che stiamo rintracciando nel mondo della letteratura, invece, hanno deciso di rispondere alla medesima tensione con una dinamica di indagine non più scientificamente (scientisticamente) codificata e centrata, ma piuttosto attraverso una prospettiva umanistica, che pone l’uomo nel suo vivere quotidiano al centro dell’indagine fantascientifica.
L’autore da cui è scaturita la nostra ricerca è stato (forse un po’ presuntuosamente) Josè Saramago con Le intermittenze della Morte, avremmo potuto anche citare il suo meraviglioso “Cecità” che sembra uscito dalla penna del miglior Ballard.
Il catalogo degli autori di fantascienza umanistica (o meta-fantascienza) si arricchisce ora con questo articolo di un nuovo nome: Mark Strand di cui esce per Mondadori la nuova raccolta di poesie: Uomo e cammello.
Strand è uno dei principali poeti contemporanei, nato nel 1934 a Summerside nella Prince Edward Island (Canada) attualmente vive a New York dove insegna alla Columbia University. Vincitore del premio Pulitzer per la raccolta di poesie Blizzard of One.
In Italia sono molte le sue opere date alle stampe, tra queste citiamo la bella edizione proposta da Minimum Fax del 2006 di Il Futuro non è più quello di una volta, che ci permette di introdurre l’analisi di Strand come autore di meta-fantascienza.
Il noto aforisma del poeta canadese rivela un’attenzione particolare verso il futuro, verso il territorio proprio della fantascienza e che in questo passo viene sapientemente amalgamato con una disillusa considerazione sul presente, lasciando intuire una riflessione particolarmente approfondita sull’essere dell’uomo nel tempo e sul suo camminare verso il domani.
Questa analisi, che permette di definire a tutti gli effetti Strand un poeta meta-fantascientifico, prosegue e si rafforza in questo nuovo Uomo e cammello, che Mondadori pubblica nella collana Lo Specchio.
Ventitre poesie divise in tre momenti che raccontano la disillusione e il tramontare di un’epoca, pagine limpide e levigate che si interrogano sul destino dell’uomo, sul senso della fine e sull’anelito ad una libertà assoluta che in quanto tale è nulla: “pagine di un libro su cui niente era scritto”.
Strand sviluppa una percorso intellettuale personale facendo muovere sul palcoscenico di una narrazione sempre aperta, al limite del paradosso continuo, figure, personaggi e situazioni che si rincorrono e da cui emergono tratti vividi, delineati con eleganza impeccabile.
Come non lasciarsi incantare dalla strana coppia che dà il titolo alla raccolta, un “uomo e un cammello” che se ne vanno lungo un deserto di “sabbia scosciata dal vento” cantando “un motivo troppo ornato da ricordare”?
Ciò che però permette di avvicinare Strand alle tematiche della fantascienza non è solo l’interrogarsi (senza mai rispondersi) sugli identici quesiti di genere ma anche e soprattutto l’utilizzo di immagini che dalla SF traggono palese spunto. Strand dipinge con un verso molto narrativo e scorrevole figure anonime di un mondo fatto da gente miserevole che “cammina nella notte”, “fiumi di anziani con bastoni e torce elettriche”, “cumuli di macerie” città post apocalittiche “dove il mare è ghiaccio e il terreno è cosparso di macigni come lune”. O ancora una Morte che conduce il poeta nella “Grande Piazza dai palazzi di marmo” nella “città delle anime”, e sempre la Morte che “nella città di X, siede in una limousine con una coperta sulle ginocchia e attende che arrivi l’autista.”.
Su tutte queste immagini domina, come un’immensa cornice, il mare, che nelle poesie di Strand torna continuamente con un significato che emerge dirompente, violento: il mare è ”nero”, “maleodorante”, “di ghiaccio”, il mare che è “come una libertà”, anelito assoluto di un poter esser tutto che confina il poeta nell’immobilità del nulla.
Ogni poesia di Strand ha il potere di evocare nella mente del lettore (di fantascienza?) immagini vive, dirompenti, impetuose, di paesaggi post-apocalittici, di deserti nucleari o di distese di polvere e sabbia di pianeti inesplorati, senza mai lasciar intravedere all’orizzonte la speranza di una redenzione perché, in fondo, “se la Luna potesse parlare, non direbbe niente”.
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