Scossa da fremiti e singhiozzi non voleva guardare, non desiderava altro che rimboccarsi le coperte e uscire dall'incubo con le proprie gambe. Ricor­dava lucidamente di aver gridato "Mamma". Poi le grosse mani dal dorso glabro erano tornate per consolarla; sapevano di cenere ed erano bagnate di sudore. Non aveva visto le fiamme che si allungavano verso il cielo nero, ma aveva sentito il loro calore attraverso i pori della pelle di quelle mani fradice. Forse aveva chiamato "mamma" una seconda volta e una terza - non ne era sicura - ma le mani si erano limitate ad accarezzarla e non le avevano restituito la madre, né altro. E si era resa conto che se non avesse aperto gli occhi in quel preciso istante non lo avrebbe più fatto. L'incubo era finito, era ora di svegliarsi e di alzarsi. Ciò nonostante non si decideva ad aprirli, non voleva vedere né sapere. Se solo lo avesse voluto, quelle mani l'avrebbero cullata in eterno e lei sarebbe semplicemente tornata a dormire. Aveva deciso di spalancare le palpebre. Più tardi aveva perso i sensi, ma l'odore della carne bruciata le era rimasto nelle narici per settimane.  Ora, a distanza di oltre quattro anni, stava semplicemente andando per i boschi con il suo eroico fratellone per cercare qualcosa da appendere al CANCANO, e ancora una volta desiderava soltanto chiudere gli occhi e tenerli così un bel po'. Fino a scacciare quell'orrendo incubo che una marea di sangue aveva spiaggiato tra i suoi piedini.

Si sentiva esausta e chiese una sosta.

- Devi fare pipì?

- No.

- Allora la farai alla prima sosta.

In lontananza esplose il rumore sordo di uno sparo.

- Carabine da caccia - commentò Bronco bloccandosi. Tania gli si strinse al fianco e ricevette un buffetto affettuoso.

- Non ti va che canto, vero?

La bimba scosse il capo.

Bronco sogghignò e riprese più forte di prima.

* * *

-... n-ca-no... can-ca-no...

Mattia sollevò la testa, in ascolto.

La nebbia creava strane dissonanze; tutti i suoni erano ovattati. Eppure gli era parso di udire chiaramente la voce di un uomo. Molto distante, ma che pareva farsi più vicina. Non ne distingueva le parole ma aveva l'impressione che salisse e scendesse nella nebbia come un'onda di risacca.

Vittima di uno strano torpore, lottò per mantenersi cosciente; al suo fianco Castagna aveva smesso di respirare. Con le dita cercò conforto nella sua barba, che aveva il colore biondo-ambrato del miele. La sentì ispida e freddissima, come una paglietta di ferro per raschiare il lavandino di cucina. Abbassò lo sguardo per osservarla con attenzione: era rossiccia, sembrava intrisa nel vino rosso.

Una foglia sottilissima gli cadde in grembo. Era scura e secca. Friabilissima. Avrebbe potuto sbriciolarla con un sof­fio, semplicemente alitandovi sopra.

Sta in piedi sulle zampe pensò. Si sentiva la febbre. La foglia sembrava squadrarlo in modo minaccioso: un piccolo robot che si reggeva su sottili zampette meccaniche. Era trafitta da una dozzina di chiodini finissimi e da una corolla di spil­li senza capocchia.

Un capolavoro, una mostruosità, una superba espressione di raggelante nonsenso. - La follia di un pazzo! - gridò.

Ricadde con il mento sul petto e scivolò in un sonno popolato di cardi scarlatti...

* * *

La nebbia li inguainava da capo a piedi, rendeva i contorni degli alberi sagome indistinte, fantasmi freddi e inespressivi.

- Chiodo da maniscalco, chiodo fucinato, chiodo da bara, CANC...

Bronco inciampò e il suo canto si risolse in un accesso di tosse. La bimba gli batté la manina sulla grossa schie­na ingobbita. Il gesto le era venuto spontaneo, ma fu contenta di ritrarre la mano appena il fratellone smise di tossire. Non riusciva a togliersi dalla mente il momento in cui sarebbe stata costretta a conficcare il cancano nelle carni della sua preda. Sperava di non doverlo fare con la bestiola ancora viva, anche se quel dettaglio non era ancora stato discusso. Il martello cominciava a pesarle nella manina; il suo abitino non aveva una cintura solida e non c'era altro posto dovesse lo potesse tenere.

- Stai bene, ora?

Bronco raddrizzò le spalle e la fissò in viso ansando. - Ho l'affanno. E' meglio che non canto. Sosta?

Tania s'illuminò. - Solo il tempo di raccontarti una cosa bella.

- Vado a pisciare - Si bloccò di colpo e voltò di nuovo a guardarla, con la fronte corrugata. - E' ovvio che io piscio e tu fai solo pipì. Chiara la differen­za, signorinella?

La bimbetta annuì. - Penso di sì.

Sola nel silenzio immoto della bruma, Tania udì lo scroscio di urina sopra le foglie secche. Lontano o vicinissimo... non avreb­be potuto dirlo. Dopo un minuto Bronco emerse dalla nebbia; le mani erano ancora impegnate ad allacciarsi la patta dei calzoni. - Adesso la cosa bella! - incitò.

Tania invitò il fratello a sedersi su un tronco mezzo marcito.

- Mica è tanto lunga?

- No.

Il ragazzo appoggiò per terra la rete. L'aveva sempre portata in spalla. Vederla distesa era decisamente un'altra cosa, più impressionante; robusta e con la maglia fittissima. Nodi fatti a mano, con la disarmante pazienza dei pazzi. Tania la fissava con orrore; non era fatta per un cane grosso... Questa conside­razione contribuì ad angosciarla ancora di più. Si accorse che stava farfugliando qualcosa tra sé.

- Beh? - la interruppe Bronco. - Pisciamo a gocce?

Tania spaventata distolse l'attenzione dalla rete. - Dunque la cosa bella è che se guardi la tua mano attraverso l'acqua della brocca... insomma, la puoi vedere cicciosa come il resto, bella normale...

- Cicciosa una cacca - berciò Bronco. - Non mi va sentirmi dare del cic-cio-so da una mina di matita. Da un truciolo di legno. Da un moccolo di naso... - Si arrese non trovando altre metafore. - E poi anche i chiodi diventerebbero più panciuti. Alzati, va’... E' una bella idea, però.

La bambina sorrise. Aveva colpito nel segno, nonostante il suo spirito si sarebbe sciolto come neve al sole al momento di martel­lare il cancano nella pelle della sua preda e poi nel legno duro della porta.

Un guaito debolissimo si fece sentire da qualche parte lì attorno. Molto vicino.

* * *