Cos'è la Freccia gialla? E' la domanda che d'un tratto comincia a tormentare Andrej, protagonista di questo toccante romanzo breve di Viktor Pelevin: è in viaggio sul treno da così tanto tempo da avere dimenticato ogni cosa del mondo esterno e del suo passato, e l'assuefazione al rumore dei motori e delle rotaie ha finito per anestetizzare il suo spirito critico. Finché il Khan non prende a ossessionarlo con i suoi interrogativi: di tutto il treno, sembra l'unico incapace di adattarsi al quieto ronzio subliminale della vita sul treno. Tutti gli altri si accontentano di tirare avanti, barcamenandosi nei rispettivi traffici, affari impossibili e surreali che sembrano aver costruito ad arte per dimenticarsi di tutto il resto e non pensare al passato, al futuro e al resto del mondo. La vita sul treno, insomma, procede rigidamente incanalata sui binari di un'illusione di normalità: culti esoterici si affermano all'improvviso e svaniscono soppiantati da nuove religioni, le sette si confondono con il racket criminale e opportuni rituali (significativa la "sepoltura dei morti"...) vengono escogitati per appagare il bisogno di autorità dei passeggeri. Tutto questo, mentre il controllo degli ufficiali ferroviari si fa sempre più precario...

La gente si trascina di giorno in giorno, ignorando il panorama che cambia fuori dai finestrini, dove il ritmo circadiano viene presto congelato in una notte eterna occasionalmente rischiarata da un crepuscolo neutrale e ancora più inquietante. Ma Andrej è il Khan hanno scoperto, ognuno a modo suo, che il mondo in cui sono costretti a condurre le loro esistenze potrebbe essere solo una rappresentazione ingannevole, allestita da un intelletto sadico e ostile a loro uso e consumo. Il Khan si è infatti imbattuto in un messaggio piuttosto criptico, nascosto in una delle carrozze meno popolate: "Colui che rigettò il mondo lo paragonò a polvere gialla. Il tuo corpo somiglia a una ferita e tu stesso somigli a un folle. Tutto questo mondo è una freccia che ti ha colpito. La freccia gialla, un treno su cui stai viaggiando verso un ponte crollato". E quando mostra la sua scoperta ad Andrej, questi resta non poco suggestionato dalla carica dirompente di queste parole, che sembrano echeggiare alcune folgorazioni cubofuturiste di Velimir Chlebnikov. Quando poi il protagonista entra per caso in possesso di una copia sbrindellata della Guida alle ferrovie dell'India, progredendo nella lettura si convince progressivamente di aver recuperato una possibile chiave per forzare la serratura del mondo-treno.

Dilungarsi oltre sulla trama di questo meraviglioso romanzo breve non renderebbe giustizia al fine lavoro di cesellatura di Pelevin, che con uno stile raffinato e composto ci guida al progressivo risveglio della coscienza di Andrej, fino all'inevitabile finale che ciascun lettore - a seconda delle proprie inclinazioni - potrà interpretare come uno scioglimento liberatorio o, in alternativa, come un epilogo cupo e drammatico. Ma tutti resteranno invariabilmente coinvolti dal fascino della ricerca che si dipana nelle pagine de La Freccia gialla, un carnevale allegorico in cui viene trasfigurata la recente storia della Federazione Russa, e i tragici eventi che ne rappresentano l'attualità sublimano su un piano metaforico che ne propizia una lettura in chiave universale. Inevitabile il parallelo tra la società russa contemporanea e il treno lanciato verso ovest, la cui destinazione inarrivabile altro non è che un ponte crollato; e i passeggeri, tenuti all'oscuro di tutto e loro stessi demotivati dal porsi domande e cercare le relative risposte, non sono forse un fedele ritratto del popolo russo, relegato nella nebbia ideologica di un moderno oscurantismo? Per nostra fortuna un ultimo barlume di speranza arriva da chi resiste e continua a non piegarsi all'inquadramento ordinario nei ranghi del regime. Gente come il Khan, che non a caso svanisce nel nulla. O come Andrej...

Il libro include anche altri due racconti sull'essenziale (come li definisce lo stesso Pelevin): due storie in cui rivivono personaggi emblematici entrati di diritto nella mitologia dell'oriente, come il giapponese Yukio Mishima ossessionato dalla ricerca della bellezza e il cinese Lu Hong jian, che si ostina a tentare di catturare l'essenza della verità. L'autore (classe 1962), ex-ingegnere aeronautico, si è avvicinato ormai da diversi anni alle filosofie orientali e ai principi dello zen, e in questi due racconti sembra voler dar sfogo alle suggestioni ispirategli dai suoi studi. In essi racchiude alcune brillanti illuminazioni prese in prestito dall'Hagakure o dal Tao Te Ching: "Chiamiamo Dio ciò che non siamo ancora in grado di uccidere. [...] Quando ci ammazziamo attentiamo al Dio vivente che è in noi" scrive per esempio in Un ospite alla festa di Bon, proseguendo con: "...la morte assieme alla vita è imprigionata dentro un solo istante, che è l'unico a esistere, e la morte ne è il vero scopo". Sentenze che si sposano alla perfezione con lo spirito di Note sulla ricerca del vento: "Prima dell'attimo in cui iniziamo a cercare la verità, essa nemmeno esiste. In questo consiste la verità". Purtroppo, però, questi racconti non si staccano mai dalla pagina, e i personaggi restano incatenati a una sfera puramente concettuale. A differenza del romanzo breve che presta il titolo alla raccolta, memorabile al punto da valere da solo l'acquisto del volume, restano confinati alla dimensione del pastiche, esperimenti letterari un po' cerebrali e non perfettamente riusciti.

Viktor Pelevin è uno dei più grandi intellettuali russi e oggi è lo scrittore più amato del suo Paese. Le critiche allo stato delle cose invalso nella Russia post-sovietica, dove "tutto è cambiato per non cambiare niente", gli hanno attirato l'ostilità di gruppi di giovani facinorosi legati a Putin, costringendolo a riparare all'estero. Di suo Mondadori ha pubblicato anche un'altra importante antologia, anch'essa consigliatissima: Un problema di lupi mannari nella Russia centrale (2000)