Tre voci che non potrebbero essere più diverse tra loro sono comparse nelle libreria americane.
From the Notebooks of Dr. Brain di Minister Faust
Malgrado il nome (d’arte, ovviamente) suoni altisonante, l’autore è in realtà Malcolm Azania, uomo dalle mille sfaccettature. Infatti è insegnante, scrittore, conduttore radiofonico e aspirante politico, anche se l’ultima voce non ha avuto un gran successo. Azania è fondamentalmente un autore satirico e con questo From the notebook è al suo secondo romanzo, in cui prosegue il suo obiettivo di prendere in giro determinati stereotipi del genere.
E quale migliore bersaglio del troppo venerato mondo dei supereroi?
Ecco quindi entrare in scena la dottoressa Eva Brain Silverman, psicologa specializzata in supereroi, in un mondo in cui i suddetti e i supercattivi esistono da sempre e sono parte attiva della comunità. Capita però che dopo millenni di lotte tra le due fazioni, alla fine anche l’ultimo supercattivo venga sconfitto e semplicemente, non ce ne sia più uno in giro.
Così i supereroi sono entrati in una spirale autodistruttiva ed è compito della brillante Silverman (che forse, ma solo forse, ha anche lei dei superpoteri) dare loro una mano.
Solo che il più grande dei superoi, Hawk King, viene improvvisamente ucciso e nasce ovvia la domanda su chi possa averlo eliminato. Il compito di Eva diventa così seguire e accompagnare gli altri eroi nella loro caccia al colpevole, anche fino all’asteroide Zod, dove il disastro li attende. Ma più indagano più sembra chiaro che il colpevole sia proprio uno di loro.
Come dice però l’autore, da grandi poteri derivano grandi stupidaggini, per cui non aspettatevi un romanzo di azione/fantascienza, quanto una parodia del mondo dei fumetti e dei libri di auto aiuto, gli analisti da salotto televisivo e in generale le psicobabble che vengono propinate dai media.
Le recensioni Usa dicono che l’autore abbia avuto più successo nel prendere in giro questa parte che non quella relativa ai supereroi, perché si riferisce più a un tipo di personaggi da Golden Age del fumetto che non a quello attuale, che viene ritenuto molto più profondo e complesso. Ovvero, un altro ramo della suddetta psicobabble a base di eroi piagnoni e psicotici, motivo per cui, decisamente, è meglio ricordare e semmai prendere in giro proprio il periodo migliore nella storia del fumetto, dove la fantasia regnava padrona.
Il romanzo è divertente, esuberante e irriverente e sarebbe davvero notevole poterlo leggere anche da queste parti ma, nell’attesa, se conoscete l’inglese, potrebbe essere un bel modo per ridere di tutte la pseudoserietà mediatica che ci circonda e le stupidaggini del tipo “da grandi poteri derivano grandi responsabilità”.
Questo romanzo è la terza puntata di una saga iniziata con i romanzi Gridlinked e The Line of Polity e parte da dove si era fermato il romanzo precedente per ribaltare tutto quello che sembrava ormai deciso e concluso, e che invece è tutt’altro che scritto nella pietra, come i cari vecchi cliffhanger in cui l’eroe che sembrava stesse per morire riesce invece a salvarsi e il cattivo risorge miracolosamente a nuova vita, anche se magari con un certo livello di inverosimiglianza.
Brass man porta avanti ben tre trame che arrivano dai romanzi precedenti: una segue il genio del male Skellor, il quale ha usato una tecnologia aliena proibita e mortale per sostenere il suo progetto altrettanto proibito e mortale di creare la vita, con un certo delirio di onnipotenza, tramite un cervello dotato di intelligenza artificiale. La seconda trama invece coinvolge una sorta di Golem creato dai militari e rubato dai (ovviamente) terroristi. Solo che in questo umanoide metallico erano stati downloadati i pensieri di un (ancora ovviamente) serial killer ed è (come sopra) sfuggito al controllo di chiunque. Infine la terza trama coinvolge una AI aliena di nome Dragon, i cui scopi sono perlomeno misteriosi. Sarà compito del protagonista, l’agente segreto Ian Cormac, con l’aiuto di vari altri personaggi, affrontare le varie minacce e salvare il mondo.
Le recensioni dicono che, mentre sicuramente l’autore ha mantenuto bene le promesse e l’azione lanciate all’inizio della saga, è anche vero che sembra già un tantino ripetitivo e soprattutto con troppi personaggi sparsi in giro che allungano di un buon terzo la narrazione, frammentando quel ritmo che la storia dovrebbe avere, mentre il personaggio principale finisce in secondo piano, quasi l’autore stia pensando di creare uno spin-off su di lui.
In pratica l’idea è buona, ma realizzata in maniera frettolosa e rischia di raschiare il fondo del barile pericolosamente in fretta.
Immaginatevi un deserto all’apparenza infinito, metteteci in mezzo un enorme abisso. Poi tirate delle enormi catene da un capo all’altro, su vari livelli e su queste catene costruiteci una città. Fate passare 3000 anni. Aggiungete a tutto questo un autore esordiente che arriva dai videogame, nello specifico il violento e fine a sé stesso Grand theft auto.
Ed ora benvenuti a Deep Gate, città costruita sempre più in precario equilibrio, ramificata sulle catene, che sono sempre meno in grado di reggere la colossale struttura. Questo posto è stato costruito con un solo principio: il fanatismo religioso. La città è infatti guidata, se non dominata, da un governo religioso il quale promette che, se seguirai le sue regole, quando morirai verrai lanciato nell’abisso sottostante, dove si suppone viva la divinità Ulcis che ti preparerà alla guerra santa contro l’altra divinità, ovviamente cattiva, chiamata Iril. Per controllare la popolazione il governo usa una potente icona, l’ultimo angelo ancora vivo, un ragazzo alato di nome Dill.
Il nostro eroe ha raggiunto la maggiore età quando lo incontriamo, ed è destinato a essere addestrato dal capo della chiesa degli assassini, una donna di nome Rachel. Indovinate cosa viene dopo? In partenza lei lo addestrata spietatamente, poi i due si innamorano e qualcuno non è molto d’accordo.
Nel frattempo, l’avvelenatore di stato, Devon, ha messo in atto il suo folle piano per diventare immortale che richiede, neanche a dirlo, una speciale pozione a base del sangue di tredici vittime innocenti, di cui una deve essere un angelo a caso. Ma anche lui ha un rivale, un’entità di nome Carnival che, pensa un po’, uccide anche lui la gente, ma solo nelle notti senza luna.
E infine, il padre di una delle vittime sta dando la caccia al responsabile della morta della figlia.
Creato con la mentalità da videogame con abbondante uso di violenza gratuita, quindi ideale e costruttivo per un pubblico di teenager (era sarcasmo, nel caso non si fosse capito), il romanzo copia da idee come (sigh) Rama o Riverworld (e chiedo scusa per il paragone), ovvero personaggi in un ambiente circoscritto e ci mette dentro tutta la capacità di un realizzatore di videogame che scippa idee dovunque senza averne di sue e le immerge in un bel po’ di violenza e sangue, così magari i lettori non si accorgono che manca una trama coerente.
In pratica, un successo annunciato, ma un anche un buon romanzo? uhmm...
A presto con la seconda parte delle nuove uscite Usa.
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