Si chiamava Cosmico Spaziale, ed era uno scrittore triste.
Se ne stava seduto alla scrivania, i gomiti piantati sulla fredda superficie di vetro del tavolo e il mento desolatamente sorretto dai palmi delle mani. Fissava il monitor del suo fedele PC Windows e la finestra del word processor disperatamente bianca, e il cursore lampeggiante che sembrava ripetere in un ticchettìo ossessivo «E allora? Che aspetti?».
Ormai quasi tutto il pomeriggio era trascorso così, e ancora non aveva un’idea. Le uniche parole che aveva scritto erano Stazione 9 - raccoconto di Cosmico Spaziale. Il titolo, e poi il nome dell’autore, quel nome che tanto odiava e che pure era il suo, una beffarda alleanza fra un destino crudele, che gli aveva portato quel cognome, con la scarsa creatività dei suoi genitori, che gli avevano imposto il nome. Lui era nato per fare lo scrittore di fantascienza, questo sembrava scritto nel suo destino anagrafico. Eppure, lui odiava la fantascienza.
Non gli veniva nessuna idea. Quando aveva scritto il titolo aveva in mente un vago soggetto su una stazione su un pianeta inesplorato, e un mostro tipo Alien che faceva fuori un po’ di gente, ma era tutto nebuloso. Non sapeva come cominciare.
Sbuffò, raccolse il telecomando e accese la tv. Fece un po’ di zapping, e alla fine capitò su Retequattro. Riconobbe subito, suo malgrado, un episodio di Spazio 1999. Odiava quel canale, che trasmetteva tutto il giorno telefilm e sceneggiati di fantascienza. Star Trek in tutte le sue incarnazioni, Spazio 1999, UFO, Ai confini della realtà, Doctor Who, Visitors, I sopravvissuti, Il prigioniero, L’astronave Orion, Highlander, Mork & Mindy, Thunderbird, Battlestar Galactica, Zaffiro e Acciaio, Babylon 5, e tutte quelle ignobili riduzioni brasiliane a puntate tratte da best seller come Fondazione, Dune, Il mondo del fiume, I reietti dell’altro pianeta. Riproposti ogni giorno, più volte replicati, e la gente a casa che se li divorava come fossero la Bibbia, e ne discuteva dal barbiere, nei negozi, al lavoro, con le vicine. Uno sceneggiato tratto da I principi demoni aveva raccolto, l’anno prima, più di trenta milioni di spettatori solo in Italia. Agghiacciante.
Spense la tv disgustato e tornò alla scrivania. Accarezzò malinconicamente il profilo severo, squadrato del suo PC, un’altra mania che lo faceva sentire strano. Ogni volta che consegnava un racconto a un editore doveva convertire il testo nel formato standard iWork e salvarlo su un dischetto per Macintosh, perché nessuno riusciva ad aprire i suoi file di Microsoft Office. Ogni volta che usciva un nuovo programma o un nuovo gioco doveva aspettare mesi prima che qualcuno facesse una versione per Windows. E costava sempre più cara.
Per consolarsi aprì il cassetto della scrivania. Da sotto un paio di guanti da portiere di calcio trasse un fascicoletto fotocopiato, di piccolo formato, sulla cui copertina in bianco e nero campeggiava in caratteri eleganti e un po’ liberty la testata: L’Altro Beautiful, e più sotto: Fanzine di letteratura rosa. Trattandolo amorevolmente lo aprì alle prime pagine, dove, dopo il suo editoriale, erano stampati due racconti, uno suo e uno di un suo amico, che si firmava Claretta Bellisari. Teneva la rivistina nascosta, fuori dalla portata degli “altri”. La sua ragazza, per esempio, lo prendeva costantemente in giro. Diceva che la sua insana passione per la narrativa rosa era un segno di infantilismo, e che le cose importanti nella vita erano altre: i contatti con gli extraterrestri, ad esempio, o anticipare il futuro dell’umanità, o immaginare “cosa accadrebbe se…”. Era questo, secondo lei, che rendeva la vita meravigliosa e degna di essere vissuta.
Con un groppo alla gola rimise il fascicolo nel cassetto, e per la centesima volta si chiese perché non fosse possibile vivere scrivendo ciò che veramente desiderava scrivere: storie d’amore, di sentimenti, dove potesse esprimere tutta la dolcezza e la tenerezza del suo animo fragile. Storie dove i protagonisti non fossero astronavi e viaggi nel tempo, ma delicati rapporti tra uomini romantici e donne affascinanti.
Purtroppo, bisognava guardare in faccia alla realtà. Anni prima, quando era più giovane, lui e un gruppetto di altri appassionati avevano tentato l’avventura dell’edicola: avevano proposto una rivistina, che avevano battezzato Via col vento, in omaggio a un vecchio e dimenticato capolavoro cinematografico. Era stato un disastro. Così, anche per recuperare i soldi persi in quell’avventura, Cosmico aveva dovuto mettersi a scrivere fantascienza, per riviste che pagavano bene come Intimità, dedicata ai viaggi di micronauti all’interno del corpo umano, e Confidenze, un rotocalco che affrontava il tema della telepatia. Ma ogni volta che toccava la tastiera del computer per scrivere un racconto si sentiva sporco, gli sembrava di prostituirsi, di vendere la sua anima di scrittore per vile denaro.
Per un momento si lasciò dominare dalla rabbia. Poi un sorriso maligno si disegnò sul suo viso. Cosa accadrebbe se…
Prese in mano il mouse e cancellò il titolo che aveva scritto, sostituendolo con un altro: Mondo alla rovescia, di Cosmico Spaziale. Ora aveva un’idea. Avrebbe scritto un racconto su un universo parallelo. Un universo parallelo, dove Jules Verne e H.G. Wells erano rimasti poveri scrittori popolari e Goethe e Manzoni erano stati invece riconosciuti dalla critica e avevano forgiato la loro epoca; dove la fantascienza era letta solo da pochi squinternati appassionati, e la narrativa rosa, invece, aveva successo: film, sceneggiati, telenovelas programmate sulle reti più importanti per tutta la giornata. E racconti pagati bene e letti da un vasto pubblico.
Poi si corrucciò. Nessuno gli avrebbe pubblicato un simile racconto. Era veramente troppo, troppo inverosimile.
Scrisse allora un racconto in cui al lunedì anziché commentare i tornei di scacchi si parlava solo di calcio.
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