This is the end, my lonely friend, the end...(citazione migliorata da The End, dei Doors)
È il 28 aprile 2005.
Sì, lo so che oggi non è il 28 Aprile 2005, bensì esattamente il giorno in cui tu stai leggendo questa frase. L'identità dei giorni è una delle tante illusioni che il mondo ci propina. Ma facciamo finta lo stesso che sia il 28 aprile 2005. La vita intera è un far finta che le cose siano quel che vogliamo che siano, quindi non ci dovrebbe riuscire difficile ingannarci ancora una volta.
Com'è il tuo 28 aprile 2005? Probabilmente non lo sai. Nella gerarchia dei giorni il 28 aprile 2005 non occupa posizioni di gran rispetto, e la memoria se ne approfitta per dimenticare. La gente preferisce ricordare quel che ha fatto un 25 dicembre qualsiasi, o un 11 settembre 2001 qualsiasi. Io invece adesso preferisco ricordare il mio 28 aprile 2005.
Il 28 aprile 2005 ci sono un sacco di luoghi, come sempre, ma l'unico che mi riguarda è quello in cui sono. Un ospedale. A Kiev. La clinica Boris. Per mia fortuna, non sono io l'infermo. Davanti a me, un uomo vecchio, magro e grinzoso, disteso a torso nudo su un letto inclinato a 30°. Lì dentro, dentro a quell'uomo, anche se adesso non si vede bene c'è una leggenda della letteratura di fantascienza. Alcuni tubetti nel naso si prendono la briga di rimpinzarlo di ossigeno, mentre tutt'attorno si avvicendano figure perfettamente calate nella teatralità ospedaliera, fatta di camici bianchi, odori finti – immessi nell'aria per creare l'atmosfera ospedaliera, cipigli gravi e sguardi compassionevoli. Fuori dalla porta, avvoltoi mediatici muniti di telecamere e microfoni premono per entrare e rubare morbose immagini del grande scrittore in agonia, così che poi tali sequenze possano venir vomitate da milioni di televisori ed inoculate a forza nell'ormai putrido cervello di massa dell'Homo Tele-spectatore. Gli avvoltoi stessi paiono vergognarsene, per una volta, ma hanno l'ordine di insistere. Opportunamente, vengono tenuti fuori.
Robert Sheckley è l'unico ad apparire del tutto indifferente alla presunta gravità delle circostanze. La teatralità del dramma non lo tocca. Eventualmente lo ispira. O forse l'ispirazione semplicemente sorge al suo interno, frutto naturale del suo mondo di consapevolezze fuori del comune.
“Ho iniziato a scrivere un'opera intitolata La Morte Prematura di Robert Sheckley” mi racconta con inattaccabile buonumore, agitando il taccuino dove a tratti redige a mano qualche nota. Mi accenna qualche dettaglio. Comprendo che la morte che potrebbe attenderlo da un momento all'altro gli interessa solo come spunto per qualcosa di nuovo da scrivere. Come Thomas Carmody, il protagonista del suo capolavoro Dimension of Miracles, Sheckley è conscio che a propria disposizione ha e ha sempre avuto niente di più che il momento presente... e la speranza di quello successivo. Mi rendo conto che Robert Sheckley non è persona da sprecare quello che potrebbe essere il suo ultimo istante nella sterile e banale rappresentazione teatrale dell'angoscia del morituro. Me ne rallegro.
L'aereo che lo riporterà negli Stati Uniti lo aspetta uno o due giorni dopo. Il peggio dell'insufficienza respiratoria che ne ha reso necessario il ricovero pare superato. Ma chi lo può dire? Purtroppo io devo partire prima, e posso solo sperare che il suo miglioramento regga sino al momento del suo volo. Nei giorni precedenti, abbiamo stabilito di incontrarci di nuovo l'autunno successivo in Messico e trascorrere lì qualche mese assieme, periodo nel quale avremmo finalmente potuto redigere con calma il libro comune che da qualche tempo avevamo in mente di scrivere, e del quale avevamo buttato giù parecchi appunti. È per questo che le sue ultime parole al mio indirizzo, mentre io mi appresto a lasciare l'ospedale, nel primo pomeriggio di quel 27 aprile 2005 che non dimenticherò, sono: “See you in Mexico.”
Ricorderò lo sguardo acceso e il sorriso che accompagnano il suo gesto di commiato.
“See you in Mexico.” Gli faccio eco io, e mi chiedo se ciò sarebbe mai avvenuto.
Non lo rivedrò mai più. Non in questo universo, non in questa sequenza spazio-temporale.
Nei giorni successivi le sue condizioni peggioreranno e Sheckley trascorrerà un mese d'inferno, tra la vita e la morte, nella clinica Boris e tutta la parte migliore del mondo della fantascienza parteciperà al suo dramma. Dopodiché egli riuscirà a tornare negli Stati Uniti dove circa mezzo anno dopo, il 9 dicembre 2005, la sua esistenza si concluderà. E lui non leggerà mai queste mie poche righe sulla sua morte. Non ascolterà più la musica dei Doors, di Tom Waits e Lebussy. Non condividerà più il suo punto di vista sulle cose del mondo con la parte di umanità in grado di nutrirsene. Non farà proprio più niente. Niente di niente. Un vero, vero peccato per i sopravvissuti.
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