Conan, il re ladro
Il Conan di Howard, cresciuto nella nordica Cimmeria, sarebbe (scrive Howard in una lettera in cui lo definisce “di sangue misto”) nipote di un emigrante di una tribù del sud della regione, sfuggito a una faida e che forse coi suoi racconti ha fatto nascere in Conan l’impulso a visitare le ambientazioni di quelle storie. Anche se mai approfondita nei racconti, questa ascendenza presenta la sua condizione di perpetuo outsider come una sorta di

Francamente, non lo so prevedere. Scrivendo queste storie non sentivo tanto di crearle quanto, semplicemente, di raccontare le sue avventure come lui le raccontava a me. Ecco perché ci sono tutti questi salti, che non seguono un ordine regolare. L’avventuriero medio, che racconta casualmente le storie di una vita selvatica, di rado segue un progetto ordinato, ma narra episodi ampiamente separate nello spazio e negli anni, come gli vengono in mente.Anche Conan è figlio del west, come Howard scrisse nel 1935, in una nota autobiografica inviata alla Fantasy Magazine, la fanzine curata da Julius Schwartz (in seguito grande del fumetto): “Semplicemente, Conan mi è cresciuto in mente qualche anno fa, mentre mi fermavo in una cittadina di confine sul basso Rio Grande”. E a Clark Ashton Smith parla del “realismo” del suo personaggio, in cui “ le caratteristiche dominanti di vari pugili, pistoleri, contrabbandieri, bulli da campo di petrolio, giocatori e onesti lavoratori con cui ero venuto in contatto, combinate insieme, produssero l’amalgama che chiamo Conan il Cimmero”. Le ambientazioni del folklore texano e le leggende sui guerrieri Indiani tornano in Al di là del Fiume Nero (1935), dove vediamo Conan con arco e frecce, sulle rive di un fiume al margine di una foresta; il racconto si conclude con un boscaiolo che, davanti a una brocca di vino, dice a Conan [per motivi di praticità, tutte le traduzioni sono mie]:
“La barbarie è la condizione naturale dell’umanità. La civiltà è innaturale. È un capriccio delle circostanze. E la barbarie deve sempre trionfare”.Se il barbaro sottoscriva o meno le sue parole, Howard non ci permette di saperlo: un’ambiguità opportuna, per un personaggio che, in entrambe le dimensioni, ha incontrato e subito violenze tremende. In questo racconto, scriverà a Lovecraft,
“ho abbandonato le ambientazioni esotiche in civiltà perdute, civiltà decadenti, cupole dorate, palazzi di marmo, ballerine vestite di seta ecc., e ho lanciato il mio racconto su uno sfondo di foreste e fiumi, capanne di legno, avamposti di frontiera, coloni vestiti di pelle di daino e uomini tribali dal corpo dipinto”.Gli stessi sfondi risuonano anche nel titolo dell’incompiuto Wolves Beyond the Border, in cui i Pitti, con la loro Danza del Serpente Mutante, incontrano per la prima volta un uomo bianco, fra forti, avamposti e nomi di chiara derivazione nativa come Conawaga. Lo stesso vale per il postumo The Black Stranger (noto anche come Il tesoro di Tranicos): qui, l’opposizione di fondo è fra il forte civilizzato (ma indebolito dalla decadenza) e la minaccia incarnata in apparenza dall’ “uomo nero” incombente dal bosco, e forse infiltratosi nella fascia di sicurezza. La minaccia è cosmica: una nube che “si riversò sul bordo del mondo con grande masse bollenti di nero, venate di fuoco”. Dalla wilderness, chiaramente un ricordo delle ambientazion western, di quei boschi (preceduto dalle tremende leggende che lo riguardano) arriva anche Conan; però, l’uomo nero non è lui, come in realtà il racconto ci fa dubitare per decine di pagine. La verità è che il negromante di turno ha trasformato in schiavi “il popolo nero”: the black folk, si insiste in corsivo, ed è difficile evitare di pensare a The Souls of Black Folk, il classico saggio di W.E.B. Du Bois, leader dell’emancipazione afroamericana di inizio secolo, studioso delle tradizioni folkloriche e autore di innumerevoli romanzi popolari, “politici” ma con plot esotici e avventurosi che non sarebbero dispiaciuti ai lettori di Weird Tales. Dall’orrore della schiavitù magica derivano i fantasmi che infestano il presente.
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