La Futureland di Walter Mosley è un paesaggio globale che si estende oltre i confini geografici e culturali delle nazioni, in cui prevale la massificazione, la sperequazione tra i quartieri alti e i sotterranei è consuetudine accettata da tutti, e sopravvivere diventa una vera e propria lotta contro forze esterne che complottano per tenere in piedi il sistema. Droghe sperimentali, potenziamento genetico e armi biologiche sono gli strumenti di una guerra senza quartiere, combattuta tra i centri del potere e i sottoproletari di Terra Comune, ora tutelati dal Congresso Radicale, ora terroristi per conto dell'organizzazione Rumore Bianco. I nove racconti della raccolta Fanucci tracciano un quadro fedele di questo scenario, forse fin troppo schietto. E questo è probabilmente il primo limite dell'opera, che assume così i connotati di un trattato didascalico più che di un'opera di narrativa, smorzando la tensione del racconto e assoggettando la fiction alla dimostrazione delle istanze dell'autore in quella che così diviene una sorta di lavoro a tesi. Un effetto collaterale di questa impostazione, che si concretizza nel secondo limite, è la riduzione delle psicologie dei personaggi a una schematicità al limite dell'implausibile. Gli slanci eroici dei protagonisti finiscono quindi risucchiati nella logica di un meccanismo narrativo che li condanna invariabilmente alla sconfitta.
Ma è il terzo limite a esprimere il difetto peggiore, che consiste nell'incapacità da parte dell'autore di gestire i moduli del racconto, tradendo così la sua scarsa familiarità con gli strumenti della fantascienza. Eppure il libro ha ricevuto un'ottima accoglienza in America, diventando un bestseller per il New York Times. Mosley, già noirista di successo con la serie del detective nero Easy Rawlins, sembra ignorare qui l'evoluzione stilistica che a partire dagli anni Sessanta ha rivoluzionato la fantascienza, e così i suoi racconti restano viziati da un tono semplice, quasi senza pretese, più vicino a una fantascienza old fashioned che ai recenti sviluppi del genere: il risultato è bizzaro quanto lo può essere leggere un racconto di ispirazione cyberpunk scritto da John Campbell. Il parallelo con Matrix che è stato azzardato per la promozione italiana del libro risulta poi quanto mai indigesto e inappropriato: tanto l'opera dei fratelli Wachowski era infatti esteticamente pregnante, pur nella semplicità di certe soluzioni narrative, quanto questo Futureland è stilisticamente inconsistente. Ma se le logiche pubblicitarie sono destinate a restare inafferrabli, è chiaro che al momento della sua pubblicazione l'editore americano deve aver creduto che non servisse poi molto per scrivere un libro di fantascienza.
Questo atteggiamento di sufficienza produce un vizio di forma che è all'orgine di un ulteriore moto di disappunto nel sottoscritto, visto che non si tratta della prima incursione dell'autore nel genere: se Blue Light del 1998 era una storia di invasioni aliene, qui Mosley si confronta con le tematiche sociali e razziali a lui care trasponendole in un contesto futuribile. Lo scenario risulta pure credibile, ma purtroppo non basta a bilanciare i difetti di questa scrittura, nemmeno tenendo conto di alcune trovate interessanti come quella di trasfigurare nei tratti grotteschi e insopportabili degli antagonisti i padroni del mondo di oggi. La Microsoft diventa così la MacroSoft (e, chissà perché, si trasforma in MacroCode della traduzione italiana), produttrice di sotware e proprietaria di isole private e istituti penali, ma perde la sua dimensione corporativa per ridursi alla gestione individuale e pseudo-dittatoriale del suo presidente, una figura titanica che sembra uscita direttamente da un pulp della Golden Age, e che come altri personaggi ricorre in più storie.
Peccato che anche questo ritorno su alcune figure cardine non basti ad arricchirne la dimensione psicologica: l'hacker Ptolemy Bent, la boxer e attivista Fera Jones, il "private electric eye" Folio Johnson: tutti i personaggi restano appiattiti sulla carta, al punto che talvolta capita che le loro azioni risultino tanto artefatte da non poter essere giustificate né dalle circostanze né, tantomeno, con il loro carattere, sbiadito e insipido. E ancor più forte è la delusione, perché Mosley spreca in questo modo un'ottima occasione: Futureland avrebbe potuto diventare il manifesto di una nuova fantascienza sociologica, e invece resta ancorato a una scrittura vecchia, ormai superata dai tempi, vanificando in questo modo la carica ideologica pure dirompente dello sdegno che sentiamo vibrare nelle parole dell'autore, ma che esce tristemente disinnescata dal suo eccesso di sicurezza.
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