La domanda resta: "Daniel Craig rappresenta - fisicamente - la scelta migliore per il protagonista di una delle saghe più lunghe e importanti della storia del cinema al punto da essere 'assurta' a serie di culto?"
Chi scrive, nonostante la stima per l'attore in altri ruoli come quello per esempio di Munich o di Layer Cake, si domanda se questa sia davvero la strada giusta per i nuovi film incentrati sulla figura di 007: poco humour, tanto alcol, un mare di spot più o meno occulti (la spia guida anche una Ford...), ma al tempo stesso una buona dose di 'politicamente corretto' con un James Bond non troppo 'mandrillo' e sicuramente per niente fumatore.
Non c'è dubbio che Casino Royale si distingua sensibilmente dai capitoli precedenti della saga legata al personaggio creato da Ian Fleming, non sempre riusciti e quasi mai perfetti. Pochi gadget, più storia e al tempo stesso un doppio ritorno agli anni Sessanta caratterizza in maniera forte questa lunghissima pellicola (davvero troppo...) della durata di quasi due ore e mezza.
Minutaggio a parte, si può dire che questo sia un film figlio delle suggestioni di quel decennio (quello in cui è nata la leggenda...) con ambientazioni alle Bahamas e una costruzione narrativa tipica di quel periodo cinematografico anche dal punto di vista visivo.
Sintesi ed emblema di questa scelta estetica l'estenuante partita a carte che 007 intavola con il suo nemico. Quasi mezz'ora del film è dedicata allo scontro tra Bond e il cattivo con una posta in palio di circa 150 milioni di dollari: un duello psicologico che fallisce nel coinvolgere lo spettatore più smaliziato. Di partite a carte cinematografiche se ne sono viste di più coinvolgenti e lo stesso 007 ne ha giocate in passato altre più pericolose e - chissà - forse perfino più 'spettacolari'.
L'inizio in bianco e nero del film (mah!?) porta lo spettatore - idealmente - alle origini della serie che - a parte la solita sequenza del mirino che poi si riempie di sangue - è sempre stata a colori.
Nel film incontriamo un James Bond che non è stato ancora 'promosso' e non è diventato '007', ovvero non ha ancora 'la licenza di uccidere'.
La trama è abbastanza complicata: un signore della guerra africano finanzia un misterioso terrorista per speculare contro il mercato mondiale. Un attentato, infatti, garantirà un incredibile ritorno di denaro: Le cose, ovviamente, non vanno così. Bond ci mette la coda (il sicario coinvolto è l'italiano Claudio Santamaria) e così, per ripagare il pericoloso guerrigliero, il 'cattivo' di turno deve intavolare un'esclusiva partita a poker tra dieci ricchi del pianeta. Bond si presenta in Montenegro al Casino Royale insieme ad un'avvenente collega interpretata da Eva Green. La partita a carte ovviamente ha una posta in palio più alta e tra avvelenamenti e omicidi, 007 si troverà a fronteggiare qualcosa di inaspettato.
In un mondo post 11 settembre, il terrorismo affrontato ad un tavolo da gioco non può non lasciare perplessi. Anche se il pianeta, questa volta, sembra non essere direttamente in pericolo, l'avventura di Bond così patinata e glamour, ha qualcosa di retrò dalla vocazione, forse, eccessivamente letteraria, ma - al tempo stesso - non particolarmente seducente o intrigante.
L'insistere compiaciuto sui muscoli di Daniel Craig (Vin Diesel di xXx dove sei?), il suo continuo trasgredire le regole con uno strano piglio e - al tempo stesso - l'imbarcarsi in un'inspiegabile e travolgente storia d'amore, rendono questo film un tentativo di portare la franchise su un nuovo terreno. Non c'è Moneypenny, né tantomeno Q, M è Judi Dench, ma i dialoghi a disposizione non possono che sorprendere per la loro banalità e noia.
La tensione erotica presente nel film è ridotta al minimo e Bond non è un playboy, ma un killer determinato, apparentemente senza un lato oscuro. M gli dice di restare 'distaccato emotivamente' dal suo lavoro, ma
lui non ci riesce e - alla fine - si innamora in maniera eccessivamente mielosa, dimostrando di non essere ancora diventato il Bond che tutti conosciamo. L'eroe, infatti, nasce alla fine, in una sorta di palingenesi della figura di 007 temperata dalla vendetta e dalla rabbia.
Senza umorismo e senza la sagacia ironica di tanti film del passato, questo macho James Bond non convince del tutto e - in alcuni momenti - lascia perfino un po' annoiati. A parte il nome e il numero quello di Daniel Craig è - per il momento - un agente segreto come tanti altri e - forse - meno simpatico e intrigante di Jason Bourne e - addirittura - di Ethan Hunt.
Per non parlare della pericolosa somiglianza della sceneggiatura del film con MI:3 o con Al servizio segreto di sua Maestà in cui le faccende di cuore travolgono l'emblema più glamour e iconico della virilità postmoderna.
Tutto questo pone, poi, un altro interrogativo cui è emotivamente difficile trovare risposta. Il ventunesimo secolo ha ancora bisogno di celebrare attraverso il cinema un eroe come James Bond?
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