Dopo il successo di Million Dollar Baby, Clint Eastwood dà vita a quello che può, forse, essere considerato come il suo progetto più ambizioso: raccontare la storia della sanguinosissima battaglia di Iwo Jima avvenuta nel 1945, seguendo, in due film distinti, il punto di vista americano e quello giapponese.
Flags of Our Fathers e Letters from Iwo Jima sono, dunque, i due lavori che il grande regista e attore ha dedicato a uno dei momenti più drammatici della Seconda Guerra Mondiale quando da un lato gli Americani sbarcarono - per la prima volta - sul 'sacro' suolo nipponico, mentre dall'altro i Giapponesi si immolarono in una disperata resistenza senza quartiere, certi di non tornare più a casa dalle mogli, madri e fidanzate.
Due film difficili e toccanti che, però, sarebbe sbagliato considerare come semplici pellicole 'di guerra'. Eastwood, infatti, si pone in maniera problematica rispetto ad entrambi le storie e punta a dare vita a due film 'moderni': senza buoni e cattivi, ma soltanto con uomini provati da eventi in grado di trascendere le loro esistenze.
Flags of Our Fathers, in particolare, riflette sulla vicenda dell'iconico scatto che ritraeva un gruppo di marines mentre innalzavano la bandiera sul monte più alto dell'isola. Le conseguenze politiche e morali di quella foto furono enormi. L'America provata dai lunghi anni di guerra si sentì rinvigorita da quella foto apparsa sulle prime pagine di tutti i quotidiani. L'intera nazione si strinse intorno al suo esercito mettendo mano al portafoglio, finanziando, così, con maggiore enfasi lo sforzo bellico tramite l'acquisizione dei cosiddetti 'bond' che permisero la prosecuzione del conflitto fino allo sgancio delle due atomiche su Hiroshima e Nagasaki qualche mese più tardi.
Flags of our fathers, però, non è soltanto un film sull'importanza e sul valore della propaganda, bensì su qualcosa di più articolato e complesso. Quella che può essere considerata come una delle immagini più famose non solo della Seconda Guerra Mondiale, ma della Storia - in realtà - era un 'falso'. O meglio: una messinscena ad uso e consumo del fotografo di guerra per un qualcosa che era già avvenuto. Due furono, infatti, le bandiere alzate a Iwo Jima con la prima diventata proprietà personale di un alto ufficiale americano. Flags of our Fathers vuole apertamente trascendere la mera riflessione sulle conseguenze politiche di quella fotografia, bensì seguire la storia personale di tre marines appartenenti al gruppo di soldati avevano innalzato la seconda bandiera. Considerati degli eroi i tre uomini furono mandati in tour per gli Usa allo scopo di convincere le persone ad acquistare i bond. Tra feste e celebrazioni anche di dubbio gusto, i tre diventarono degli eroi senza, forse, averne davvero pieno titolo. Eastwood segue le loro storie giustapponendo le immagini del vero conflitto in cui si erano trovati rispetto a quelle dei momenti durante la loro tournée promozionale. L’ipocrisia e la maturazione del lutto si alternano ad immagini spaventose di battaglie generando un contrasto emotivamente molto intenso e coinvolgente..
In questo senso il film oltre ad essere estremamente forte sul piano politico, risulta anche particolarmente toccante sotto il profilo umano e personale. I tre ragazzi videro le proprie esistenze sconvolte per sempre diventando eroi mediatici ante litteram, sofferenti per avere dovuto tacere a lungo un segreto, emerso, poi, nel corso del tempo. Eppure questa serie di eventi in cui si trovarono 'incastrati loro malgrado' non lede in alcuna maniera gli sforzi che tutti quanti hanno compiuto durante un vero e proprio inferno di fuoco e fiamme.
Pur seguendo un'ispirazione simile a quella di Salvate il Soldato Ryan, Flags of Our Fathers risulta essere un film molto diverso: il grande Clint, infatti, celebra il coraggio di quei ragazzi del 1945 e mostra – al tempo stesso - una grande compassione di ispirazione quasi buddista per tutti coloro che si trovarono per caso coinvolti in uno dei momenti più duri e drammatici della storia dell'umanità. Eventi tali da giustificare qualsiasi debolezza e qualsiasi cedimento dinanzi a situazioni difficili da gestir, inattese e – talora – perfino quasi incomprensibili.
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