A completare l’antologia è un piccolo capolavoro, Il mercato d’inverno (The Winter Market), finalista ai premi Hugo e Nebula. Pubblicato originariamente sul “Vancouver Magazine” nel novembre ’85, ripubblicato su “Interzone” nel 1986 e antologizzato nella quarta raccolta del The Year’s Best Science Fiction a cura di Gardner Dozois (1987) è un racconto che riprende una situazione fantascientifica da un’angolatura molto mainstream. È pertanto il più letterario dei racconti di Gibson, il primo dopo la maturazione stilistica di Neuromante. Casey, il protagonista, è un tecnico, curatore per l’Automatic Pilot dell’estrazione dei sogni e delle visioni degli interpreti di questa nuova arte.

“Gli artisti, quel genere di persone con cui io lavoro all’Automatic Pilot, sono in grado di infrangere la tensione superficiale, di immergersi nel profondo del mare di Jung e di risalire riportando dei sogni. Immagino che certi artisti l’abbiano sempre fatto, con qualsiasi mezzo, ma la neuroelettronica ci permette di entrare in contatto diretto con l’esperienza creativa, e la rete la diffonde dappertutto via cavo.”
L’Automatic Pilot è una piccola realtà del simstim che opera a Vancouver. Casey vive nei pressi della Piazza del Mercato e ha un solo vero amico, Rubin Stark, che ricava opere d’arte a partire dai rifiuti della società dei consumi evolutasi dal nostro mondo attuale, che di rifiuti già ne produce in abbondanza.

“Rubin, anche se nessuno capisce bene come, è un maestro, una guida, quello che in Giappone chiamano sensei. Ciò di cui è maestro, in realtà, sono i rifiuti, la spazzatura, il mare di merci gettate via su cui galleggia la nostra civiltà.
Gomi no sensei… Rubin è proprio questo. Un maestro dei rifiuti. Lui, comunque, non dice mai di essere un artista. Quello che fa lo chiama trafficare, e sembra considerarlo una specie di prolungamento dei pomeriggi noiosi trascorsi da bambino in cortile.” ;;
Pur non essendone il protagonista, Rubin è la figura centrale del racconto, il perno attorno a cui ruotano le storie personali degli altri personaggi. A casa sua si consuma una impossibile storia d'amore, intrecciandosi con una plausibile ma altrettanto disperata ricerca di redenzione. E Rubin, in virtù di questo suo ruolo, può essere visto come una sorta di alter ego letterario dell'autore, se non di vero e proprio motore immobile dell'azione. Non a caso Samuel Delany si spinse a paragonare Gibson a questo master of junk, capace di lavorare con gli scarti e di ricavare da essi la sua opera. La descrizione della sua arte e tecnica, in effetti, è una sorta di piccolo manifesto, una dichiarazione d'intenti di Gibson: ricavare arte dalla merce solitamente considerata come un rifiuto dall'industria culturale, nobilitare la materia del narrato conferendole una dignità letteraria che in partenza le sarebbe preclusa. E altrettanto cruciale è la sua funzione nell'evoluzione della trama, che come sempre accade in Gibson è estremamente dinamica, persino quando propone una riflessione sull'arte, la vita o la coscienza.Mentre pattuglia i bassifondi in cerca di merce con cui trafficare, Rubin s’imbatte in una ragazza avvolta in una tuta nera di policarbonato e abbandonata tra i rifiuti di un vicolo. È viva, ma non gli rivolge la parola la prima volta che lo vede. Rubin ripassa di lì più tardi e scopre che la ragazza non si è mossa. Le offre il suo aiuto e scopre che si chiama Lise e che si è trascinata laggiù mentre la tuta esauriva lentamente la sua carica. Lise infatti è portatrice di una disfunzione genetica che combinata all’abuso di droghe la ha quasi paralizzata. Per muoversi ha quindi bisogno dell’esoscheletro, ma la sua spinta autodistruttiva non è esaurita. L’impulso nichilista è connaturato nel suo DNA. Lise è un’artista che finora non ha avuto modo di esprimersi, oltre che una consumatrice accanita di wiz. Quando incontra Casey a una delle tante feste organizzate da Rubin, si fa portare a casa da lui e qui, servendosi delle apparecchiature tecniche del Pilot, “si collegano”. Laddove ci si sarebbe aspettati un incontro fisico consumato clandestinamente, si compie invece una comunione delle coscienze che lega indissolubilmente Casey alle sorti di Lise. Grazie a questa esperienza Casey intuisce infatti le potenzialità inespresse della ragazza e la segnala al suo principale. Dopo un provino, Lise non fatica a guadagnarsi un contratto con una major, ma richiede espressamente la supervisione di Casey per la sua registrazione. Casey non può rifiutarsi.
“Lise era straordinaria. Era come se fosse nata per quel lavoro, anche se la tecnologia che lo rendeva possibile e attuabile non esisteva neppure quando lei era venuta al mondo. Uno vede una cosa del genere, e si chiede quante migliaia di artisti fenomenali sono morti muti, lungo i secoli. Artisti che non avrebbero mai potuto essere poeti o pittori o sassofonisti, ma che avevano qualcosa dentro, onde psichiche che avevano bisogno solo dei circuiti adatti per emergere…”
Il sogno di Lise è affrancarsi dalla prigione del suo corpo, trasferendo nella Rete la sua coscienza digitalizzata. È un sogno di immortalità elettronica il tema centrale del libro, e i continui confronti di Rubin e Casey sull’argomento, volti a definire se il costrutto artificiale
conservi le prerogative individuali del soggetto che ne ha fornito la matrice oppure rappresenti un soggetto diverso, una simulazione dell’originale, portano in primo piano la discussione sulla legittimità morale di una simile scelta e richiamano le ossessioni tipiche dell’opera di Dick, il conflitto tra reale e sintetico e le difficoltà di definizione di una precisa linea di demarcazione. Siamo quindi di fronte a un’evoluzione del concetto di matrice e cyberspazio, da semplice paradiso alternativo a vero e proprio paradiso artificiale, un nuovo pianeta pronto a ospitare nuovi abitanti. Con i proventi ricavati dalle sue visioni oniriche Lise riesce a strappare un biglietto per questa ultima stazione, ma la retta di un soggiorno elitario è tutt’altro che economica. Per continuare a sostenere le spese di manutenzione Lise dovrà sfornare simstim a un ritmo costante per molti anni ancora, il che fornirà nuovi argomenti di dibattito al confronto di Rubin e Casey: se il costrutto digitalizzato di Lise non è veramente lei, come potrebbe raggiungere comunque la forza dei sogni della vera Lise? Il racconto contiene quindi anche un’implicita riflessione sui meccanismi dello showbiz, sulla natura del prodotto artistico e sul tasso di “artisticità” di un prodotto assemblato con precisione meccanica da una catena di montaggio postfordista, un ulteriore strato che si aggiunge alla molteplicità di livelli di lettura condensati nelle sue pagine.