“Non esiste un paese in cui non conoscano Superman” dice il regista Bryan Singer, che si è imposto all’attenzione del pubblico e della critica con I soliti sospetti seguiti dai due blockbusters X-Men e X-Men 2. “Se portiamo la S di Superman nella giungla il cinquanta per cento la riconoscerà. In questo senso è un Supereroe globale”.
In un certo senso questa frase dà un po’ il senso della sfida portata avanti con lungimiranza e intelligenza da Singer: arrivare laddove registi come Tim Burton e Kevin Smith avevano in qualche maniera fallito, riportare Superman al cinema mantenendosi fedeli alla tradizione, ma al tempo stesso essendo pronti ad innovare con coraggio e lungimiranza. “L’insieme delle sue caratteristiche, l’invulnerabilità e la capacità di volare, è quello che lo ha reso così interessante ai miei occhi e a quelli di tanta altra gente” continua Singer. “Fare la cosa giusta, affrontare qualsiasi situazione e poi alzarsi in volo… tutti noi abbiamo immaginato almeno una volta di poter essere come lui. Tutti quanti noi abbiamo sognato di diventare almeno per un giorno Superman”.
Superman Returns di Bryan Singer è il seguito ideale di Superman e Superman II e utilizza elementi della performance di Marlon Brando nel ruolo di Jor-El. “Penso che la scelta di fare un sequel del film di Donner ci ha concesso flessibilità e fiducia nel portare avanti le cose”, dice lo sceneggiatore Michael Dougherty. “Tutti conoscono la storia originale. Tutti sanno chi è Superman, noi abbiamo semplicemente continuato quella storia”. Singer ha sempre provato affinità emotiva con il personaggio e aveva una visione precisa di quello che voleva per il Supereroe in questo film.
“Superman e io abbiamo in comune il fatto di essere stati adottati”, dice il regista. “Io ero figlio unico e lui era figlio unico. Per questi motivi ho sempre sentito qualcosa che mi legava profondamente a lui e per questo era il mio Supereroe preferito. Era molto importante per me raccontare la mia storia di Superman”.
Lei ha sempre parlato in maniera entusiastica dei film diretti da Richard Donner…
Ho adorato il lavoro di Richard Donner: dava vita ai personaggi in modo sorprendente ed esprimeva nello stesso tempo nostalgia e attualità. Mescolava senza sforzo le epoche. Del resto come modello per X men avevo seguito proprio i primi quaranta minuti del Superman di Richard Donner costruendo una storia molto retrò.
Superman è tornato
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Cosa è cambiato nel corso della storia cinematografica di Superman?
Il mondo del 1941 era molto diverso da quello del 1978, che è molto diverso da quello di oggi. Credo che per Superman non si debba parlare tanto di cambiamento, quanto di evoluzione. Certo, ha combattuto contro cattivi diversi e ci sono state tante modifiche nel corso degli anni. Sicuramente in questo film affronta tutta una serie di situazioni nuove dopo una assenza di cinque anni. Ma una cosa rimane sempre la stessa… la sua capacità di essere un esempio e di fare il bene del mondo. Per generazioni è stato Superman che ha ricordato al genere umano le sue potenzialità e che ha salvato chi ha creduto in lui. In Superman di Richard Donner, il Jor-El di Brando racconta al figlio che ha inviato a vivere sulla Terra che gli umani sono capaci di grandezza, ma non hanno la luce che mostri loro la strada.
Lei arriva a dirigere Superman dopo due capitoli della saga degli X men…
Ho imparato molto facendo i film degli X Men, ma devo molto anche a tutti coloro che hanno lavorato alla saga di Superman prima di me. Il loro talento sopravviverà al tempo e – in un certo senso – come custode dell’universo di Superman è mia responsabilità che questa eredità venga rispettata in pieno.
La sua fedeltà alla tradizione, però, non le ha impedito di innovare…
Era necessario che io portassi in maniera coerente il mio punto di vista sul personaggio. Il mio intento, però, non era quello di inventare di nuovo la ruota, ma solo provare a integrare nella franchise nuovi elementi.
Non senza difficoltà…
Ah, beh certo. Tutti si domandavano, ad esempio, perché avessi scelto un attore sconosciuto come Brandon Routh per la parte di Superman. Ho sempre considerato questo supereroe come un personaggio più importante e rilevante di qualsiasi attore lo possa interpretare. Se un attore famoso dovesse mai portare Superman sullo schermo limiterebbe le potenzialità del personaggio. Del resto la mia intenzione è stata sempre quella di prendere uno sconosciuto per questa parte.
Perché?
Questo attore doveva sembrare venire fuori dall’immaginario collettivo collegato al personaggio. Una memoria sociale e pubblica basata sul personaggio a fumetti, su quello dei cartoni animati, sulla serie televisiva di George Reeves, sul ritratto di Christopher Reeve e su Smallville. Quanto è importante il casting per i film legati ai Supereroi? Il casting è tutto: non posso dire che sia la parte che preferisco del mio lavoro, ma – nel corso degli anni – ho sviluppato una certa attitudine ottenendo anche qualche successo nello scegliere attori poco conosciuti per interpretare dei ruoli centrali. Non sono timido in questi casi e per quello che riguarda Brandon Routh l’ho incontrato in un Café prima di partire per l’Australia dove dovevo trovare delle locations per il film. Avevo visto delle sue registrazioni e nei primi minuti di conversazione, mentalmente, mi ero detto che non era la scelta giusta. Poi, però, parlando è trapelato qualcosa della sua personalità attraverso la voce e il suo aspetto che mi ha fatto ricredere. Alla fine dell’incontro, però, c’era qualcosa di lui che sapevo corrispondere perfettamente con la maniera in cui io vedevo come sarebbe dovuto essere il mio Superman. Parlando con lui ho colto quella sua educazione del Midwest, con gli ideali classici di quel tipo di infanzia, gli stessi che Superman incarna. E poi, ovviamente, c’era anche il suo aspetto fisico. Sembra appena uscito dalle pagine del fumetto. Quindi Brandon è stata la mia prima e unica scelta, perché ho sentito che poteva interpretare tutti e tre i ruoli, Kal-El, Clark Kent e Superman.
Rispetto agli X Men è più marcata la questione della doppia identità…
Si tratta di due identità che assume Superman e c’è un po’ dello showman nell’essere Superman, nel modo in cui si presenta. E poi c’è Clark, la maschera che indossa per apparire maldestro e rendersi praticamente invisibile. Ma il vero Clark Kent è l’uomo che è stato cresciuto nella fattoria da Martha e Jonathan Kent. Non ho mai perso di vista questo elemento. Anche quando è il timido Clark, l’essenza di Superman è quella del personaggio cresciuto nella fattoria.
Dica la verità: ha mai indossato il costume?
Onestamente no. Ci ho provato solo di recente per una foto sulla copertina di Wired, ma sembravo decisamente orribile. Di una cosa, però, ho fatto in tempo a rendermi conto: di quanto sia calda. E dire che durante una ripresa a Sydney sul set faceva un grande freddo e io mi sentivo in colpa con Brandon che aveva addosso solo la tuta. Oggi non ho più di questi sensi di colpa. Forse lui stava più caldo di tutti quanti noi…
Anche in Superman Returns lei ha mescolato il suo talento di autore a grandi effetti speciali...
Sì e se lei lo riconosce posso anche dire di essere orgoglioso e felice. La mia idea è sempre la stessa: confondere la linea tra la sensibilità del cinema indipendente e le potenzialità dei blockbusters hollywoodiani.
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