Sarebbe praticamente tutto pronto per un eventuale viaggio di Gun al cinema. Anche il regista, soldi permettendo. Qualcuno come il re del pulp Quentin Tarantino. Deve aver pensato un poco anche lui Randall Jahnson, sceneggiatore che, prima di occuparsi della storia del titolo Neversoft, ha lavorato come autore a Hollywood, firmando La Maschera di Zorro e The Doors. Volendo, c’è già pure tutto il cast, perché a questa sua violenta avventura nel vecchio West Activision ha scelto di dare un’impronta forte e cinematografica. Un carattere deciso che passa anche per le sale di doppiaggio, dove si sono ritrovati: Thomas Jane, protagonista di The Punisher nel 2004 e qui ancora alle prese con il ruolo principale; Kris Kristofferson, il mentore di Blade prestato a Gun per un cammeo dello stesso tipo; Tom Skerritt, il pilota Viper di Top Gun nei panni di un buon compagno; Brad Dourif, il Vermilinguo di Peter Jackson divenuto per il gioco un crudele e viscido predicatore; Ron Perlman, che dopo aver portato Hellboy ai botteghini si gode la bellavita come sindaco di una città di frontiera; e Lance Henriksen, ora spietato tiranno del Nuovo mondo, ma in passato l’androide Bishop per James Cameron, sull’astronave Aliens.

Ispirato in lontananza a Grand Theft Auto, per la libertà concessa al giocatore tra un capitolo e l’altro dell’avventura e la presenza di un’unica grande ambientazione esplorabile senza soluzione di continuità, Gun scandaglia però una sola vena narrativa, quella principale che si sviluppa attorno alla vendetta cercata da Colton White, pistolero duro e irreprensibile con un conto aperto con il destino. L’America della corsa all’oro, degli indiani e dei cowboy è un guazzabuglio bizzarro e feroce che, tra qualche cliché ma non insistendo eccessivamente sulla retorica, racconta il dolore portato ai nativi dall’avidità dell’uomo bianco. Un Balla coi lupi più fumettone e a tratti dai toni quasi splatter, che esplora su console il genere principe, seppur tacitamente, dei videogiochi. In un modo o nell’altro, tutto l’intrattenimento elettronico è riconducibile ai canoni del western, ma difficilmente si incontrano sugli scaffali titoli che ne riprendano anche il tipico scenario di fine Settecento.

Gun invece fonda molto del suo fascino proprio su questa ambientazione, ricreata con uno stile che supera i limiti di un motore 3D, di norma, poco interessato a esibizionismi tecnologici. Per una conferma della bontà del lavoro svolto dai grafici contattati da Neversoft, si può osservare una galleria di studi qua: www.ancient-pig.com/main/gallery/gallery.htm. I personaggi chiave sono stereotipati solo quanto basta a farli facilmente identificare, ma per ciascuno di loro i dettagli completano in modo non scontato una caratterizzazione approfondita, tipica delle grandi storie. La forte idea narrativa di stampo cinematografico pensata per Gun coccia però con l’inclinazione accennata, e non compiuta, a sposare la struttura libera e componibile di Grand Theft Auto, che resta un miraggio.

Il titolo Activision, concentrandosi sincopato sui passaggi della vendetta di Colton, dimentica di proporre un vero intreccio di trame secondarie e le non memorabili missioni alternative alla storia principale rappresentano pretestuose quanto accessorie divagazioni (per migliorare l’abilità del protagonista), che non invogliano a scostarsi dal sentiero battuto in precedenza, portando in definitiva un’esperienza di gioco piuttosto lineare. Un’esperienza che si inserisce senza clamore ma piacevolmente a cavallo tra gli sparatutto, in prima e terza persona, con qualche variazione e diverse sezioni al galoppo, uno degli aspetti più riusciti di Gun. Un titolo fondamentalmente classico, pieno di azione e sorretto da una vicenda e personaggi coinvolgenti, per chi vuole vivere un’avventura a tinte forti e briglie sciolte, facendo fumare la sei colpi in uno spaghetti western per console che, stavolta, viene dall’America.