- Speravo prendessi con più entusiasmo la mia idea, invece ti preoccupi di stupidi dettagli. In ogni caso non credo che oltre i sacerdoti dell'Ordine ci saranno altri risvegli una volta sbarcati. Un viaggio così lungo non può non avere le sue vittime. Non ti preoccupare, per quanto riguarda la ripopolazione quest’astronave dispone del più attrezzato laboratorio di bio genetica. Cresceremo insieme le prime generazioni. Gli insegneremo la strada da seguire e ti venereranno per quello che sei: un Dio.Dolore. Insicurezza. Da quanto tempo Ledeo non provava queste sensazioni. Lo sforzo di liberarsi dalle catene di Madres, dolore. La totale ignoranza per quello che sarebbe seguito, insicurezza. Eppure lo doveva fare. Un fuoco, Una fiamma di rabbia assoluta cresceva dentro di lui. Velocemente bruciava tutte le resistenze. Ogni volta che riesaminava le frasi appena ascoltate sentiva crescere l'ira. Per ogni malsana parola, per ogni concetto bacato, doveva farlo. Non poteva più fermarsi. Non voleva più fermarsi.Con uno sforzo immane riuscì a chiudere l'uscita e le prese d'aria. In silenzio. Homn continuava a blaterare ma lui non lo ascoltava più. Gli bastava la voce di Madres. Martellante fino all'esasperazione continuava a ripetergli di non farlo, di cambiare immediatamente il piano operativo. Una vita umana era in pericolo e questo è inaccettabile. Era una lotta estenuante ma Ledeo era assolutamente certo. Madres si sbagliava. Stava prendendo un abbaglio. Quello che avevano davanti poteva anche possedere il giusto DNA per appartenere alla razza umana, ma questo non bastava a fare di lui un uomo. Anzi, lui era il più grande insulto all'umanità. Prima di iniziare una nuova era bisognava fare piazza puliti di simili abomini. Di questo Ledeo era certo.

Ora il Primo sacerdote stava incominciando a notare la scarsità di ossigeno. Forse gli stava chiedendo che cosa stesse succedendo. Almeno così sembrava a Ledeo. Non riusciva più a sentire le sue parole. L'interfaccia audio era momentaneamente sospesa. Presto anche tutte le altre periferiche sarebbero state sospese dal programma di salvataggio di Madres. Non aveva importanza. Per allora quella viscida creatura avrebbe smesso di rantolare.

Rosso. Per lo sguardo, per il tatto, per l’udito. Rosso. Dovunque dirigesse il suo pensiero un muro di rosso lo bloccava. Era quasi finita. Un malessere generale si stringeva sempre più vorace attorno a lui. Si sentiva soffocare. Poi d'un tratto uno strappo. Un colpo di frusta. Repentino e doloroso. Dopo, la pace.

II

Non era ancora finita. Ledeo se ne rese conto a sue spese. Il dolore lancinante lo aveva strappato dall’incoscienza e riportato di forza nella realtà. Non aveva ancora aperto gli occhi ma sapeva di essere sdraiato a terra. Ogni più piccola parte del corpo mandava messaggi di disperazione al suo cervello. Non riusciva neppure a trovare la forza per muovere una mano. Si sentiva imprigionato in una statua di marmo, come sepolto vivo. Poteva solo aspettare. Non provava panico, solo dolore e rassegnazione. Sperava che quell’agonia terminasse in fretta con la fine della sua vita. Non ne voleva più sapere niente di niente. Voleva solo morire. Ma la vita raramente è così magnanima. Il dolore si stava già attenuando. Lentamente, ma abbastanza da permettergli di aprire gli occhi. La faccia di Homn era proprio di fronte alla sua. Era bluastro, la bocca aperta in un’espressione d’orribile stupore. Non provava rimorso per quell’omicidio, solo avrebbe preferito accompagnarlo all’inferno. Invece facendo forza sulla sua volontà Ledeo cercò di alzarsi in piedi. Dovette rinunciare e ripiegare su una più pratica andatura a quattro zampe. L’obiettivo era la sua stanza. Il suo letto. Ad ogni movimento mille pugnalate lo invitavano a fermarsi. Ma non era solo il male fisico a tormentarlo. Era come se avvertisse il peso di tutta la sua materia schiacciargli i pensieri e il cuore. La sua mente, la sua essenza, sembrava non riconoscere più come proprio quel corpo in cui era relegato. Quando finalmente raggiunse la sua stanza era stremato. Con un ultimo sforzo s’issò sul letto abbandonandosi di nuovo all’oblio.

Non sapeva quanto tempo avesse dormito, nemmeno gli interessava saperlo. Però sapeva che aveva fame e soprattutto che il dolore era diminuito sensibilmente. Era logico, il suo corpo si stava riabituando a muoversi dopo anni d’inattività. E sarebbe stato anche peggio se non si fosse preoccupato di stimolare i muscoli e la circolazione durante il periodo di fusione con Madres. Chissà perché lo aveva fatto?All’epoca aveva deciso che non sarebbe mai più ritornato in quel corpo, eppure non aveva smesso di prendersi cura di lui. Forse in cuor suo sapeva che presto o tardi gli sarebbe servito di nuovo, o più semplicemente era ancora presto per un distacco completo.

Mentre mangiava, gli ultimi avvenimenti riprendevano forma nella sua mente. Era incredibile. Ogni attimo della sua vita era stato monitorato, ogni azione indirizzata da un’altra mano. Ogni emozione era stata calcolata in modo da ottenere il giusto risultato. In definitiva tutta la sua esistenza era stata una colossale farsa. Anche quando credeva di avere toccato l’onniscienza in realtà aveva visto solo quello che gli si era voluto far vedere. Già, ma almeno il finale lo aveva deciso lui. Nonostante tutto il suo ingegno anche Homn aveva commesso un errore. Lui aveva puntato sull’orgoglio e la vanità umana per convincerlo ma Ledeo\Madres non era più un uomo e ragionava seguendo schemi mentali ben diversi.

Ora si sentiva completamente svuotato, un involucro sottile pronto a polverizzarsi al più lieve soffio di vento.

Un pensiero andò al computer.

Chissà cosa era accaduto a Madres?Probabilmente nulla di grave visto che tutto sulla Novak sembrava funzionare come il solito. Forse lo stava addirittura aspettando per una nuova connessione. Solo il pensiero lo fece stare male.

III

Tristezza. Tensione. Senso d’oppressione. Più si avvicinava la meta e più Ledeo peggiorava. Negli ultimi mesi aveva quasi smesso di uscire dalla sua camera. Si sentiva osservato. In continuazione. Specialmente quando attraversava i lunghi corridoi della Novak. Le poche volte che riusciva a riposare un po’ arrivava Madres. Ad intervalli regolari lo chiamava, continuava ad invitarlo ad unirsi a lei. Lo faceva impazzire. Ogni volta sempre più suadente. E sempre più falsa e sintetica.