Lei ha scritto romanzi di fantascienza e ha collaborato alla realizzazione del videogioco legato al terzo film degli X-Men. Quali differenze ci sono, dal punto di vista narrativo, nello scrivere per tanti media diversi?
Scrivere per il videogame è stata per me un’esperienza illuminante, nel senso che mi ha insegnato molto su cosa può e non può funzionare per questo tipo di media. Nella sceneggiatura per il videogioco, avevo inserito delle bellissime scene d’amore tra Wolverine e Jean Gray, ma i responsabili della Activision mi hanno giustamente fatto notare che non c’erano i giocatori per questo tipo di scene e quindi le scene sono state eliminate. La più grande differenza, comunque, è di tipo economico. Nel fumetto non c’è un budget a cui bisogna attenersi: uno scrittore, come me, ha un’idea, il disegnatore la realizza e una casa editrice, come la Marvel, la pubblica. Nella realizzazione di un videogioco, l’idea di partenza viene realizzata da circa venticinque persone, programmatori che devono scrivere milioni di linee di codice per realizzare il videogioco. Se io cambio idea, tutto il lavoro fatto deve essere buttato via. Il lavoro di revisione del testo, quindi, comincia molto prima nel videogioco rispetto al fumetto e soprattutto è molto più esigente. Nel fumetto, invece, le idee e i disegni non si buttano mai, ma possono essere riutilizzati in un secondo momento.
Lavorare per una grande casa editrice come la Marvel significa in qualche modo fare dei compromessi con la propria libertà creativa?
A volte, può essere difficile lavorare per la Marvel. Per esempio, io intendevo lasciare la storia personale di Wolverine nell’ambiguità: dare poche informazioni per creare un alone di mistero e suspense intorno al personaggio. Questa scelta, secondo me, significava anche concedere molto spazio all’immaginazione del lettore. La linea della Marvel, invece, è quella di rendere nota la storia passata di Wolverine. Quindi se voglio lavorare su questo personaggio, devo seguire questa linea. Sia la Marvel sia la D.C. Comics sono proprietarie dei personaggi e quindi lavorare con queste grandi case editrici significa adeguarsi alle loro linee guida. Se vuoi essere completamente libero nella creatività, allora devi creare personaggi di cui detieni personalmente i diritti, come ad esempio ho fatto con la saga di Sovereign Seven.
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