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Dal comunicatore da polso dell’armiere Roic giunse, laconica, la voce della guardia del cancello.– Sono dentro. Cancello chiuso.– Perfetto – rispose Roic. – Disattivo gli scudi protettivi della casa.L’armiere raggiunse il pannello di controllo del sistema di sicurezza, collocato in posizione discreta sul muro accanto al doppio portone di legno intarsiato dell’atrio principale di Casa Vorkosigan, e appoggiò il palmo della mano sulla superficie dello scanner, quindi digitò un breve codice numerico. Il leggero ronzio del campo di forza che si estendeva intorno alla grande casa, proteggendola, si affievolì fino a cessare del tutto.Attraverso i vetri della finestra alta e sottile che si apriva a fianco al portone principale, Roic guardò fuori, nervoso, pronto a spalancare i battenti nel momento esatto in cui la terrana di Milord fosse entrata sotto il portico. Fece correre uno sguardo non meno carico d’ansia lungo il proprio corpo, di notevole altezza e costituzione atletica, per verificare che l’uniforme con i colori del Casato fosse perfettamente in ordine: stivali bassi lustrati a specchio, pantaloni con la piega affilata come una lama di coltello, ornamenti d’argento lucenti, tessuto marrone scuro senz’ombra di macchia.Ripensando con infinita vergogna a un altro arrivo, assai più improvviso, in quello stesso atrio – anche quella volta si trattava di Lord Vorkosigan e nobile compagnia al seguito – l’armiere arrossì, ricordando l’ignobile situazione in cui Milord aveva colto i cacciatori di taglie escobarani, e l’appiccicoso disastro del burro di scaraburre. Quella volta Roic aveva fatto davvero una figura da completo imbecille, facendosi cogliere praticamente nudo a parte un generoso rivestimento di quella robaccia appiccicosa. Sentiva ancora la voce austera e divertita di Lord Vorkosigan, tagliente come una rasoiata su un orecchio: “Armiere Roic, sei senza uniforme”.Pensa che io sia un idiota.

Peggio: era stata una falla nel sistema di sicurezza a permettere l’irruzione degli Escobarani, e anche se tecnicamente in quel momento lui non era in servizio – stava dormendo, dannazione – si trovava in casa e pertanto era a disposizione per le emergenze. Quel pasticcio gli era letteralmente scoppiato in mano. Milord lo aveva congedato dalla scena con un esasperato “Roic... vai a darti una lavata”, che per qualche ragione gli aveva fatto più male di una ramanzina urlata in faccia.

Roic tornò a controllarsi l’uniforme.

La terrana lunga e argentata rallentò e si arrestò sul selciato, con un sospiro. Il tettuccio anteriore si sollevò sulla testa del conducente, l’armiere Pym, anziano e mostruosamente competente. L’armiere sganciò il tettuccio posteriore e si affrettò a girare intorno alla macchina per assistere Milord e i suoi ospiti. Mentre passava, gettò uno sguardo attraverso la finestra sottile: i suoi occhi freddi oltrepassarono Roic ed esaminarono il corridoio per accertarsi che questa volta non celasse nessuna sgradevole sorpresa. Quelli erano Ospiti Nuziali Spaziali Assai Importanti, gli aveva ripetuto Pym almeno una decina di volte. Roic ci sarebbe potuto anche arrivare da solo, visto che Milord era andato ad accoglierli di persona alla discesa dall’orbita, ma tutto considerato Pym era stato anche testimone del disastro del burro di scaraburre.

Da quel giorno le istruzioni che impartiva a Roic avevano iniziato a tendere verso il monosillabo, e non lasciavano il benché minimo spazio al caso.

Un uomo di bassa statura, vestito con giacca e pantaloni di un’elegante uniforme grigia, saltò giù dalla macchina per primo: era Lord Vorkosigan. Gesticolava facendo ampi gesti verso la grande casa di pietra con un largo sorriso di benvenuto carico d’orgoglio, senza smettere un attimo di parlare con la persona che lo seguiva. Appena i battenti intarsiati si spalancarono, lasciando entrare una folata d’aria gelida di una notte d’inverno a Vorbarr Sultana, unita a qualche cristallo di neve scintillante, Roic si mise sull’attenti e, mentalmente, iniziò a confrontare i volti delle persone che uscivano dalla macchina con quelli della lista di sicurezza che gli era stata fornita.

Una donna slanciata stringeva un neonato avvolto in una coperta; al suo fianco veniva un uomo magro e sorridente.

Doveva trattarsi dei Bothari-Jesek. Madame Elena Bothari-Jesek era la figlia del defunto, ma leggendario, armiere Bothari. Il suo diritto a entrare a Casa Vorkosigan, dove era cresciuta insieme a Milord, era indiscutibile. E Pym si era accertato che Roic lo capisse bene.

Per comprendere che il tizio più basso e di mezz’età era il pilota d’astronave betano, non c’era neppure bisogno di notare i cerchietti argentati che aveva al centro della fronte, l’interfaccia neurale tipica della sua professione. Arde Mayhew: ma perché i piloti d’astronave dovevano avere sempre l’aria sfatta tipica di chi non ha ancora recuperato gli effetti del balzo? Be’, anche la madre di Milord era betana, e poi la postura tremolante del pilota, aggiunta al battere frenetico delle palpebre, lo rendevano la figura meno minacciosa che Roic avesse mai visto. Tutto il contrario rispetto all’ultimo ospite.

Roic spalancò gli occhi.

Una creatura fisicamente possente emerse dalla terrana e si tirò su, ancora più su. Pym, che era alto quasi quanto Roic, non gli arrivava nemmeno alla spalla. La creatura scosse le pieghe abbondanti di un cappotto di taglio militare grigio e bianco, e gettò la testa all’indietro. La luce che proveniva dall’alto le illuminò la faccia, facendo scintillare qualcosa... erano forse zanne quelle che spuntavano dalla mandibola inferiore aperta?

Il nome di quella creatura, l’ultima rimasta dopo un breve processo di eliminazione, era sergente Taura. Si trattava di uno dei vecchi commilitoni di Milord, gli aveva rivelato Pym e – non bisognava lasciarsi ingannare dal grado – anche di una certa importanza (nonostante le ragioni di ciò restassero misteriose, proprio come tutto ciò che concerneva i trascorsi di Lord Miles Vorkosigan nella Sicurezza Imperiale). Lo stesso Pym era stato nella Sicurezza Imperiale.

Roic invece no, come appunto gli veniva fatto notare, più o meno tre volte al giorno.

Sospinto da Lord Vorkosigan, l’intero gruppo si riversò nell’atrio d’ingresso, scuotendo via la neve dai vestiti tra le chiacchiere e le risate. La creatura si sfilò via il cappotto dalle possenti spalle facendolo schioccare come una vela al vento, piroettando atleticamente su un piede, poi lo ripiegò con ordine per affidarlo alla servitù.