Le Badlands del Nord Dakota non erano proprio le Valles Marineris, ma Fabio Sau si è dovuto accontentare del terreno che, nei dintorni, meglio poteva assomigliare a certe zone di Marte. Lo scorso 6 maggio, infatti, Sau, in qualità di studente del Dipartimento di Studi Spaziali dell'Università del Nord Dakota, ha provato in pubblico il primo prototipo di tuta spaziale che potrebbe essere utilizzata su Marte. La tuta, realizzata su commissione della NASA dal North Dakota Space Grant Consortium di cui l'Università del Nord Dakota fa parte, è il risultato di quattordici mesi di lavoro durante i quali un team guidato da Pablo de Leon ha progettato e costruito una tuta spaziale che rispondesse innanzitutto a criteri di leggerezza e affidabilità e che consentisse dunque una maggior agilità e mobilità dell'astronauta, garantendone comunque un elevato standard di sicurezza. Da questo punto di vista, l'obiettivo è stato creare ex-novo una tuta planetaria e non una nuova tuta spaziale. La tuta provata da Sau, e costruita appositamente sulle sue misure, pesa complessivamente 23 chilogrammi (ma su Marte ne peserebbe poco meno di 9), ma è molto più piccola e leggera di quelle comunemente utilizzate nelle attività extraveicolari orbitali dagli astronauti dello Space Shuttle o della Stazione Spaziale Internazionale, e anche molto meno rigida di quelle utilizzate dagli astronauti delle missioni Apollo. "Il punto," ha spiegato de Leon, "è che quando le tute vengono pressurizzate, diventano rigide come dei palloncini di forma umana, e rendono il movimento anche di un semplice dito un'impresa. L'obiettivo del nostro lavoro quindi è stato soprattutto di ridurre la quantità di sforzo necessario per muoversi in maniera semplice su Marte, dove è prevedibile che futuri esploratori dovranno affrontare attività all'aperto quotidiane". La tuta è suddivisa in due parti principali, quella superiore che contiene le braccia e il torace e quella inferiore che ospita il bacino e le gambe fino ai piedi. Il casco e i guanti vengono agganciati per ultimi. E, a detta di Sau, proprio l'ingresso dentro la parte superiore è l'operazione più complicata, nonostante lo studente di origini sarde abbia detto di riuscire a vestirsi completamente in soli 15 minuti, anche se con qualche piccolo aiuto. La dotazione della tuta è poi completata da una sorta di sovratuta azzurra che può essere aggiunta a discrezione dell'astronauta e che funge da protezione termica e da barriera contro la polvere. Naturalmente questo è solo un primo passo nel cammino verso il raggiungimento della tecnologia che potrà essere effettivamente utilizzata. "Il maggior interesse della NASA," ha spiegato de Leon, "è quello di preparare tutta una nuova generazione di studenti e ingegneri spaziali, che dovranno essere il motore delle nuove, future missioni. I risultati che abbiamo ottenuto con la nostra tuta sono molto significativi, ma c'è ancora molta strada da fare".