4.
La Piramide è il CentroL’universo si riunisce in essa.Al suo centro perfettoLo Specchio rifletterà il centro di ogni cosa.
Due settimane più tardi, di sera, le parole della Stele si ripercuotevano nella mente di Brainhope, mentre varcava la soglia del settore riservato agli Scalatori della tettoia. Continuava a ripetersele. Non riusciva a scacciarle. In realtà, quelle quattro frasi non erano tutto quanto stava iscritto sul monolito. Ma ne costituivano il nucleo.
Poche persone entrarono con lui, solo quelle che avevano voluto: Liza, Peenemunde, Lark, e poi due androidi dell’Amministrazione del pianeta. Un paio di robot della Sicurezza rimasero fuori, sull’ingresso. Nessun altro era ammesso in quell’area. Il sole basso sull’orizzonte, dietro di loro, stava mutando in una gigantesca palla rossastra. Era il momento migliore per la partenza. Brainhope avrebbe avuto almeno venti ore, prima che la stella di Mondo dello Specchio tornasse a sfolgorare ardente. Brainhope superò la tettoia, si accostò al margine della linea d’ombra, ne uscì. Solo gli umani lo seguirono. Al contatto con la tuta, si accorse del campo della Piramide. Allora si fermò.
La cupola d’energia si elevava fino a due chilometri oltre la cima della Piramide, ricadeva in un perfetto emisfero fino al suolo, si richiudeva piatta al di sotto.
“Il centro di tutte le cose,” pensava Brainhope, “a quattro chilometri da qui.”
— Vuole che la lasciamo? — domandò Peenemunde, dopo qualche minuto.
— Sì, grazie — mormorò Brainhope.
— Allora, arrivederci — disse l’ometto. Gli strinse calorosamente la mano.
— Non badi a ciò che le ho detto, naturalmente — fece Lark. — Io sono soltanto uno stupido vigliacco. Cerchi di arrivare su. Ce la metta tutta. — Gli tese la mano a sua volta. — Buona fortuna.
Si ritirarono ambedue, una trentina di metri indietro. Restò solo Liza. Si appoggiò a una spalla di Brainhope.
— Andrai, ora — bisbigliò.
— Sì, Liza. Andrò.
— Fin dove?
— Fino al termine della ricerca.
— Io credo di esserci quasi arrivata, sai. Non al termine, non è possibile. Ma vedo tutta strada in discesa, adesso. Mi sono addentrata profondamente nella mia Piramide, dopo quella sera.
— Hai trovato quello che cercavi?
— Non ancora.
Brainhope si liberò dolcemente di lei. Prese a sfilarsi la tuta con lentezza, fino a rimanere completamente nudo.
— Vieni anche tu — le disse.
— Sarebbe inutile. Sto già scorgendo riflessi nel mio Specchio personale, in lontananza.
Lui non le poteva credere, ma non fece obiezioni. Rabbrividì all’improvviso contatto della pelle con la brezza serale e l’aria asciutta. Provò a lanciare un anello verso la cupola invisibile, lo vide rimbalzare indietro e cadere nella sabbia. Nessun oggetto artificiale poteva entrare nella cupola, nemmeno lo spillo più sottile. Nulla poteva forzarla. Nulla, a quanto pareva, poteva abbatterla. Droghe, ipnosi, training, all’interno del campo perdevano ogni effetto. La cupola anni prima aveva respinto anche un Costruito, un essere frutto di selezioni genetiche, creato e programmato al solo scopo di scalare la Piramide.
Brainhope raccolse l’anello, lo porse a Liza.
— Tienilo con te. Questo sono io, per te. Così mi ricorderai.
Liza lo infilò al dito. — Te lo renderò al tuo ritorno.
Prese a fargli scivolare le dita tra i riccioli biondi, nella barba dorata, sulla folta peluria che gli ricopriva tutto il corpo e che Brainhope aveva fatto crescere e accuratamente schiarito sulla Terra.
— Marcus — esalò. Si sollevò a baciarlo fugacemente, si allontanò, raggiunse gli altri.
Brainhope li fissò finché il richiamo alle sue spalle non lo sopraffece. In un attimo si trovò sotto la Cupola.
Si diresse dapprima verso un punto a un centinaio di metri dall’inizio della Spirale, dove essa era alta solo mezzo metro. Poi cambiò idea. Si portò ai piedi della rampa, che si snodava per duecento chilometri lungo i fianchi della Piramide. La pendenza non era quasi avvertibile. La spira successiva si trovava a soli venti metri sopra la sua testa. Pure, era irraggiungibile. Brainhope esitò solo qualche istante, per toccare la parete gelida del cristallo, sulla quale nemmeno le ventose dei Polipi di Mizar facevano presa.
Mosse i primi passi d’impulso, tremando per il gelo che gli risaliva nel corpo partendo dalle piante dei piedi.
Camminò tutta la notte, percorse circa sessanta chilometri. Poi si fermò a riposare, poco prima dell’alba.
Fu svegliato dal caldo. Il sole era già alto e brillava attraverso l’inconsistenza della Piramide, sul lato opposto.
Brainhope riprese a camminare, ma proseguì per poco. Si fermò, si ripiegò su se stesso, frappose il corpo tra il sole e la testa, sollevò le braccia a proteggerla. Attese così che la temperatura salisse ruggendo verso i 160 gradi.
In seguito tutto fu come un sogno interminabile.
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