"Oh, don't ever go to Pluto, it's a Mickey Mouse planet!"[lett. "Oh, non andare mai su Pluto(ne). E' il pianeta di Topolino!"]Robin Williams, Mork & MindyUn osservatore attento e assiduo del cielo si accorgerà abbastanza facilmente che non tutti i puntini luminosi che incoronano le nostre notti si comportano allo stesso modo. Alcuni, soprattutto certuni più luminosi, notte dopo notte si muovono tracciando un preciso percorso nel cielo. Fu senza dubbio grazie a questa semplice osservazione che già le antiche civiltà si accorsero dell'esistenza dei pianeti. Il termine infatti deriva dal greco “errante”, “vagabondo”, o meglio ancora “stella mobile”, giacché a occhio nudo non poteva esserci che il movimento a fare da discriminante tra quelle che noi oggi sappiamo essere stelle, e quelli che sono i pianeti. Del resto, finché l'uomo non accostò per la prima volta un occhio a un telescopio, fu impossibile rendersi conto della varietà di corpi celesti che regnava lassù, e per mettere ordine tra gli oggetti cosmici non c'era bisogno di molto.
Per questo la definizione puramente etimologica di "pianeta", come corpo celeste che si muove rispetto ad altri che rimangono fissi, poté essere comodamente applicata almeno fino all'inizio del XIX secolo. Se infatti la scoperta del pianeta Urano, avvenuta nel marzo del 1781 da parte di Herschel, non ne destabilizzava la qualifica, un piccolo corpo celeste tra Marte e Giove poteva dare qualche grattacapo in più.
E' il caso di Cerere, che fu avvistato per la prima volta da Giuseppe Piazzi l'1 gennaio 1801. In un primo momento esso venne ritenuto una cometa o un pianeta mancante tra Marte e Giove, ma la scoperta di lì a breve di almeno altri tre piccoli corpi celesti, Pallade (1802), Giunone (1804) e Vesta (1807), tutti di dimensioni simili, a una distanza dal Sole comparabile, convinsero lo stesso Herschel a inaugurare per tutti quanti una categoria cosmologica nuova di zecca chiamata "asteroidi", perché "simili a stelle".
Lasciando da parte illazioni in base alle quali non è del tutto irragionevole ritenere che in realtà Herschel desiderasse mantenere il primato sull'ultimo pianeta scoperto, sta di fatto che la vicenda di Cerere attribuisce automaticamente all'originaria definizione di pianeta un'ulteriore connotazione, quella delle dimensioni. Un ragionamento di questo tipo però dovrebbe obbligare l'adozione di una precisa considerazione scientifica per definire la soglia sotto la quale un corpo celeste è un asteroide e sopra la quale è un pianeta. Se da un lato farlo non è così semplice, cosa che può essere un motivo ragionevole per il quale mai nessuno si è mai cimentato in tal senso, va anche detto che per quasi duecento anni non ce ne fu bisogno.
Nettuno, scoperto nel 1846, si rivelò infatti decisamente grande, almeno quanto Urano (con buona pace di Herschel). Inoltre, i dati orbitali sia di Urano, che di Nettuno mostravano anomalie che avrebbero potuto essere spiegate con l'influenza gravitazionale di un ulteriore corpo celeste, collocato su un'orbita più distante. Fu così che a partire dalla seconda metà del XIX secolo iniziò la caccia a un nuovo pianeta. E per questo, quando il 18 febbraio 1930 il giovane Clyde Tombaugh trovò per caso un corpo celeste a soli 6 gradi d'arco di distanza rispetto alla posizione indicata da Percival Lowell per il fantomatico pianeta mancante, venne naturale considerarlo un pianeta. Plutone era stato scoperto.
Dal Pianeta X a Quaoar
Nonostante la prima, rozza, stima delle sue dimensioni fu effettuata quasi vent'anni dopo la sua scoperta, nel 1949 da Kuiper (10500 km di diametro), a Plutone fu quindi attribuito il rango di "pianeta" senza troppe discussioni o indecisioni, nel conforto della convinzione che fosse proprio il corpo celeste mancante responsabile dell'anomalia dell'orbita di Nettuno. Ma le cose si rivelarono più complicate. Da un lato, infatti, osservazioni più accurate svolte nel 1960 permisero di confermare che Plutone non possedeva una massa sufficiente a giustificare gravitazionalmente le anomalie mostrate da Nettuno, dall'altro misure via via più raffinate dimostrarono che la stima delle dimensioni fatta da Kuiper era troppo generosa.
Nel 1978 Plutone era dimagrito a 6000 km di diametro, mentre il valore accettato oggi è di circa soli 2250 km. Tuttavia le sue dimensioni, risultate sempre molto minori rispetto al suo vicino Nettuno (49500 km di diametro) e la sua orbita, assai più eccentrica e inclinata di tutti gli altri pianeti del Sistema Solare, non furono ritenute caratteristiche sufficienti a giustificare un dubbio rispetto alla sua qualità di "pianeta". Nel frattempo il problema delle anomalie manifestate dal percorso di Nettuno intorno al Sole restava, e quindi la ricerca da parte della comunità scientifica di un ulteriore pianeta nascosto, chiamato a questo punto Pianeta X (sia come numero che come incognita), continuò con una certa costanza fino all'inizio degli anni '90.
Fu allora che osservazioni e misure accurate svolte dalla Voyager 2 su Nettuno mostrarono agli scienziati che in realtà le anomalie orbitali dell'ottavo pianeta erano solo frutto di errori e incertezze sulle misure effettuate fino ad allora. Dunque non c'era bisogno di un ulteriore pianeta per spiegarle. Ma proprio quando, per la prima volta da duecento anni, sembrava di essere giunti a scrivere la parola "fine" al capitolo riguardante il numero di pianeti del Sistema Solare, ecco un nuovo piccolo terremoto a sconvolgere le certezze degli scienziati. Nel 1992, infatti, probabilmente nessuno più si ricordava di quanto già negli anni '50 andavano dicendo Gerard Kuiper e K. E. Edgeworth a proposito dell'ipotesi dell'esistenza di una zona del nostro Sistema Solare, oltre l'orbita di Nettuno, in cui si sarebbe dovuta trovare una moltitudine di piccoli oggetti ghiacciati, simile alla Fascia degli Asteroidi tra Marte e Giove. La scoperta, da parte di D. Jewitt e J. Luu il 30 agosto 1992
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