Nei progetti futuri di Tim Robbins, stando a quanto da lui stesso dichiarato al sito web della rivista di spettacoli Empire, ci sarebbe la volontà di riportare al cinema George Orwell. Il regista e attore, reduce dal set di Zathura, è attualmente impegnato proprio in un adattamento teatrale di 1984 e avrebbe pronta anche una sceneggiatura per il grande schermo. 1984, a quanto pare, rappresenta una vecchia ossessione per Robbins, da sempre impegnato sul fronte delle campagne sociali. La sua passione politica è nota, e l’11 febbraio prossimo esordirà sulle scene con un adattamento teatrale del libro di Orwell, scritto da Michael Gene Sullivan proprio per la sua compagnia di Los Angeles, la Actors’ Gang. Lo spettacolo sarà in scena fino all’8 aprile. Ma quale aspetto dello scenario orwelliano ha colpito a tal punto Tim Robbins da spingerlo a farne prima uno spettacolo, e poi addirittura un film?
Ecco le parole dell’autore. “Nel romanzo, il Grande Fratello afferma di non doversi preoccupare dell’85 per cento dei suoi cittadini, essendo questi talmente sopraffatti dalla povertà e dal carico di lavoro da non avere praticamente la possibilità di rappresentare un problema. Ciò di cui occorre preoccuparsi è il restante 15 per cento della popolazione…” Quello che affascina Robbins del libro di Orwell è dunque la sua straordinaria attualità. Ancora oggi, rileggendo gli slogan del Partito che tengono soggiogati i concittadini di Winston Smith (La guerra è pace – La libertà è schiavitù – L’ignoranza è forza), le parole di Orwell suonano tristemente e drammaticamente contingenti. Tanto è vero che numerosi sono stati, nel tempo, i tentativi di portare sullo schermo il romanzo, da Nel 2000 non sorge il sole di Michael Anderson (1956) a Orwell 1984 di Michael Radford (con John Hurt e Richard Burton). Ma se innumerevoli sono le pellicole che questa pietra miliare della letteratura del Novecento ha ispirato meno direttamente, forse è proprio in una di queste, il visionario Brazil di Terry Gilliam, che è possibile riscoprire nella sua interezza tutta la forza dell’originale orwelliano.
Scritto nel 1948, il libro di Orwell, socialista proprio come Robbins, è insieme al Mondo Nuovo di Huxley e Noi di Zamjatin probabilmente lo sguardo più lucido e spietato gettato dalla fantascienza nel futuro. La sua importanza è testimoniata dalla sua eterna attualità: dopo sessant’anni, il libro non è minimamente invecchiato, come ancora vibrante è il suo monito contro l’oppressione, sotto qualsiasi bandiera o sistema ideologico il potere si celi. Perché rileggendo Orwell oggi, a più di vent’anni dal “day after”, una cosa è provata dal livellamento ideologico delle superpotenze, dalla persecuzione politica che ancora colpisce i dissidenti in ogni angolo del mondo, dall’impiego della tecnologia come dispositivo di controllo sociale, dal filtraggio dell’informazione in cui incorriamo praticamente ogni giorno, persino qui, nella nostra civilissima e progredita Italia: qualcuno potrebbe parlare di doti profetiche, personalmente preferirei rilevare la sua scientificità. Il nostro mondo è fiorito proprio da quei semi gettati a Yalta, sul finire della Seconda guerra mondiale. George Orwell non ha fatto altro che spingere le premesse alle loro estreme conseguenze, regalandoci una fotografia piuttosto fedele di questo nostro mediocre presente.
Robbins non ha ancora chiarito se è sua intenzione limitarsi alla regia oppure vestire anche i panni del protagonista. Ma ha rivelato che se il film vedrà la luce, dipenderà dal suo successo nel recuperare i fondi necessari. “Vedremo se c’è un reale interesse nei confronti del progetto. Orwell potrà essere venti anni in ritardo, ma di certo è ancora incredibilmente al passo coi tempi”.
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