Ci sono dei libri particolari che oltre a narrare una storia avventurosa ed emozionante ne hanno vissuta una ancora più affascinante e strabiliante, fatta di scoperte casuali, di ritrovamenti impossibili, di misteriose sparizioni e di tanto altro.

Uno di questi libri è Lo Zar non è morto, ripubblicato da Sironi nella collana Questo e altri mondi, che già aveva ospitato la rivelazione Tullio Avoledo.

Lo zar non è morto – Grande romanzo d’avventure è un libro di fantapolitica scritto nel 1929 da un gruppo di letterati italiani provenienti da diverse correnti culturali capeggiati dal padre del futurismo: Filippo Tommaso Martinetti.

Il “Gruppo dei Dieci”, così si chiama l’eterogeneo collettivo, si raccoglie con il preciso obiettivo di creare un’opera di intrattenimento e di grande avventura, un’opera per divertire il lettore senza alte finalità artistiche. Dalla prefazione all’edizione originale Martinetti scrive: “Soltanto alcuni scopi di patriottismo artistico (non raggiungibile in altro modo) hanno avvicinato e solidarizzato questi dieci scrittori italiani che appartengono alle più tipiche e opposte tendenze della letteratura contemporanea (futurismo, intimismo, ecc.). Questi sono e rimarranno inconfondibili, dato che miliardi di chilometri dividono per esempio la sensibilità futurista di Marinetti dalla sensibilità nostalgica di F.M. Martini. Per offrire al pubblico lo spettacolo divertente di quei miliardi di chilometri, eccezionalmente, i Dieci hanno scritto i capitoli del romanzo: Lo Zar non è morto. Questa eterogenea collaborazione, una volta tanto, ad un romanzo di avventure non vuol dare nessuna direttiva artistica.”

Ebbene, questo esperimento letterario non solo non lasciò traccia nel panorama letterario italiano (aldilà di un fugace momentaneo successo) ma peggio ancora il libro di fatto scomparve e se ne perse memoria e traccia e così sarebbe rimasto per sempre se il caso malandrino non avesse voluto diversamente.

Giulio Mozzi, esperto di anni trenta, dopo una giornata al computer a lavorare, stanco, come fanno tutti i veri bibliofili, decide di riposarsi un po’ facendo un giro in una libreria e così finisce nella libreria Minerva di Milano e lì, fra gli infiniti libri presenti uno in particolare attira la sua attenzione. Non si capisce neppure perché, si tratta di una copia sgualcita, rovinata di un libro probabilmente mediocre. Mozzi non desiste: quel libro sembra chiamarlo con una vocina insistente. Sfoglia le prime pagine, comincia la letture e ne è totalmente conquistato. Sborsa oltre cento euro al proprietario sornione della libreria e torna a casa contemplando il suo tesoro.

Mozzi legge il libro tutta la notte e la mattina si mette al computer e scopre che quel libro che aveva tra le mani era un’opera che i più esperti conoscevano ma nessuno possedeva o aveva letto, era come se di quel libro ne fosse rimasta solo un’esile traccia nella memoria di qualche occhialuto professore universitario ma per il resto fosse stato rimosso.

Mozzi corre allora dalle “ragazze e dai ragazzi” della Sironi che, dopo l’iniziale stupore, capiscono di avere tra le mani un tesoro perduto e non possono far altro che aprire lo scrigno di questo grande romanzo d’avventure a tutti i lettori: pubblicarlo.

Passiamo al libro ora che narra una storia altrettanto mirabolante: se lo Zar Nicola II Romanov non fosse stato ucciso nel castello di Ekaterinburg e se venisse visto vivo e vegeto in un piccolo villaggio della Manciuria? Certo si scatenerebbe una caccia tra le potenze del pianeta per ritrovare quell’uomo che potrebbe modificare le sorti e i destini del mondo; Italia, Inghilterra, Francia, Cina e soprattutto URSS sanno bene che se quel vecchio fosse veramente lo Zar la rivoluzione comunista subirebbe un grave colpo.

Nel romanzo si affrontano malvagi personaggi senza scrupoli, eroi italici indefessi e eroine bellissime e coraggiose (come non citare Oceania World che da sola scuote gli animi stessi delle potenze mondiali?) sullo sfondo di incredibili paesaggi: Roma, Pechino, Mosca, la Svizzera, la Francia e il lettore resta avvinghiato dalle pagine che scorrono veloci e una domanda lo attanaglia: quel vecchio è davvero lo Zar?

Non fate come Mozzi, quando avrete il libro fra le mani non correte all’ultima pagina per scoprirlo subito.

Se per il lettore moderno queste vicende sono ormai episodi superati di un passato concluso, per il lettore di allora quell’opera era una vera e propria narrazione di fantapolitica, ambientata a solo pochi anni dal loro lontano presente; immaginiamo i lettori italiani di allora sognare ad occhi aperti quel piccolo villaggio della Manciuria e quel misterioso vegliardo.

Innegabilmente il libro è stato scritto sotto l’ala protettrice del fascismo e la cultura di una destra patriottica e nazionalista emerge chiaramente dalle pagine del libro, tuttavia questo non deve allarmare il lettore moderno: Lo Zar non è morto ha il pregio di catapultare nel mondo degli anni trenta, con la loro cultura, la loro società, la loro storia e soprattutto le loro idee.

Il romanzo resta consigliato comunque a chi semplicemente ama le storie belle, avventurose ed è capace ancora di emozionarsi di fronte ad eroi ed eroine.

Lo Zar non è morto. Grande romanzo d'avventure del "Gruppo dei Dieci": Filippo Tommaso Marinetti, Massimo Bontempelli, Antonio Beltramelli, Lucio D’Ambra, Alessandro De Stefani, Fausto Maria Martini, Guido Milanesi, Alessandro Varaldo, Cesare Viola, Luciano Zuccoli; Sironi 2005, collana Questo ed altri mondi, pag. 442, Euro 17.