aneddoti di

Vittorio Curtoni

Memories of green Voglio cinquant'anni spericolati...


Non sappiamo se Delos sia entrato nella storia della fantascienza italiana, ma sicuramente la storia della fantascienza italiana è entrata in Delos. Vittorio Curtoni, già direttore delle mitiche riviste Robot e Aliens - e comunque un bel po' mitico già di suo - ha accettato di portare sulle nostre pagine una collezione di gustosi aneddoti del fandom e dell'editoria italiana. Ah, per sua volontà, il sottotitolo di questa rubrica è "i farneticanti ricordi del vecchio vic". Almeno sapete cosa aspettarvi...

Compiere cinquant'anni non è, di per sé, la cosa più divertente del mondo, e ti coglie alla sprovvista: hai l'impressione di essere stato un ventenne fino a pochi giorni prima, e poi di colpo, zac!, cala la scure del mezzo secolo. O almeno così è accaduto a me quest'anno, il 28 luglio. Un caro amico (quel porcellino del Lanfranco Fabriani), scrivendomi per farmi gli auguri, ha insinuato che potessi sentirmi un po' depresso; ma gli ho detto che no, la mia sensazione preponderante era lo stupore. Avevo l'impressione che succedesse a qualcun altro... E invece, come mi è stato confermato dai lunghi studi su carta d'identità, patente, codice fiscale e tesserino sanitario (l'unica carta di credito che posseggo, pietosa, tace), succedeva proprio a me. Sfiga nera! Però, come anno del cinquantenario, è stato abbastanza grandioso: a gennaio ho inaugurato la nuova serie delle CurtoniCon, incentrate su incontri con autori alla libreria piacentina Fahrenheit 451 e pantagrueliche cene all'ormai celeberrimo ristorante La Pireina, con un successo di pubblico straordinario, una gioiosità straripante, e la partecipazione di nomi da cartellone di Broadway; in marzo è uscita la mia antologia Retrofuturo, pubblicata dalla Shake Edizioni, che oltre a dodici racconti contiene la mia autobiografia di operatore fantascientifico e le fulgide illustrazioni di Giuseppe Festino; ci sono state numerose recensioni al libro, tutte più che positive, e una serie di presentazioni in libreria con ottimi esiti; il volume è talmente piaciuto a qualcuno che sono già al lavoro per una seconda antologia che uscirà l'anno prossimo; e, last but not least, mia moglie non ha chiesto il divorzio! Che vuoi di più dalla vita, anche se ha la sfrontatezza di scaraventarti addosso una trentina di anni di troppo? Be', magari un paio di incontri come quelli che racconto qui, straordinariamente incredibili però veri: torte sulle ciliegine che a vent'anni non avrei nemmeno osato immaginare. Mezzo secolo ricco, mi ci ficco, e crepi l'avarizia.

La sera del 20 luglio ho avuto il privilegio di parlare con Ray Bradbury, un nome che non ha certo bisogno di presentazioni, l'autore di romanzi come Cronache marziane e Fahrenheit 451, ormai ritenuti testi fondamentali per il nostro secolo.

Eravamo a Bergamo Alta, nei bellissimi chiostri di San Francesco, dove un centinaio di persone si sono raccolte per sentir rimembrare il primo allunaggio umano di trent'anni fa. Una serata organizzata dal collettivo teatrale Pandemonium e condotta con grande sapienza da Paolo Aresi, giornalista di mestiere e scrittore di science fiction per hobby. Oltre al sottoscritto, gli ospiti erano Maurizio Buscarino, fotografo di fama internazionale, Marzio Tremaglia, assessore alla cultura della regione Lombardia, e Luigi Veronelli, il noto enologo e gastronomo, che mi ha molto colpito per l'enorme cordialità umana, per il modo di fare in stile sciamano (parlava a occhi chiusi, ruotando in continuazione testa e collo; pareva in trance), e per la smodata sapienza letteraria.

Alle dieci è scattato il collegamento via satellite con Parigi, che è durato un'ora, e sul megaschermo alle spalle di noi che eravamo sul palco è apparso Ray! Grande emozione. L'uomo si conserva in maniera splendida: ha detto che compirà ottanta anni l'anno prossimo, in agosto, ma dimostra molto meno della sua attuale età. E' sostanzialmente simile alle fotografie che di lui si sono sempre viste, anche se decisamente più grassottello in viso. E piuttosto serioso: solo alla fine si è sciolto in qualche sorriso e ha mimato un abbraccio per il pubblico di Bergamo, ma per il resto ha mantenuto un atteggiamento distaccato.

Ha raccontato che nel luglio 1969 era a Londra, e che per l'intera notte tra il 20 e il 21, subito dopo lo sbarco sulla Luna, è corso tra redazioni di giornali e stazioni televisive, rilasciando la bellezza di una decina d'interviste.

Tanto che un giornale inglese uscì con questo titolo: Gli astronauti camminano per qualche ora sulla luna, Bradbury cammina tutta la notte a Londra. Ci ha svelato di avere appena terminato un nuovo romanzo, che però è un thriller. Ha anche ultimato due sceneggiature. Di una non ha detto niente; l'altra verrà usata per il remake di Fahrenheit 451, che sarà diretto da Mel Gibson (del primo film tratto dal romanzo fu regista l'indimenticabile François Truffaut). Poi ha confidato che un grosso studio hollywoodiano si appresta a girare Cronache marziane, del quale esiste già una versione televisiva a puntate assai mediocre.

Alle domande sulla Luna ha risposto che il suo grande sogno è sempre stato Marte, non la Luna, e che spera di essere ancora vivo quando l'uomo arriverà sul pianeta rosso. Gli ho chiesto se ritenga possibile rivitalizzare la Luna come soggetto fantascientifico, visto che dopo il '69 l'argomento si è ammosciato, e lui mi ha risposto che ormai la Luna è superata. Al massimo si può vedere come base di partenza per missili diretti verso i pianeti del sistema solare. Ha fortemente criticato la cecità del Congresso americano che continua a tagliare fondi per le imprese spaziali. Veronelli gli ha detto che riterrebbe più interessante, come soggetto fantascientifico, il sole, per giocare su un contrasto estremo tra luce e tenebra, e Bradbury ha ribattuto ricordandogli il suo racconto Le auree mele del sole, nel quale la sostanza stessa del sole viene raccolta in coppe come fosse una mela d'oro liquido. Ha ribadito il suo interesse per il teatro, il fascino che gli ispira l'idea di portare su un palcoscenico i panorami tipici della fantascienza; e, invitato da una delle attrici di Pandemonium, ha garantito che sarebbe ben felice di celebrare i suoi ottant'anni in Italia, a Bergamo, assistendo alla rappresentazione di uno dei suoi testi teatrali. Si tratta solo di trovare i soldi per farlo venire qui...

Il 23 luglio, poi, ho avuto ospite nel mio modesto appartamento Robert Sheckley! La prima cosa che devo dire è che non è la persona simpatica, intelligente, vivace, cordiale, disponibile, totalmente affascinante che avevo immaginato.

No, purtroppo non lo è.

E' CENTO VOLTE MEGLIO!!! Si è presentato a casa mia, in compagnia di Roberto Quaglia e del buon Max, in pantaloncini corti, sandali, camiciola più sbrindellata che no. Magro come un uccellino poco bravo a dare la caccia ai vermi, ed effettivamente mangia pochissimo: mi pare abbia molto apprezzato i cibi che gli abbiamo offerto mia moglie e io a pranzo, e la trattoria a cena, ma più che mangiare Bob assaggia.

Parco anche con l'alcol: a mezzogiorno si è concesso un po' di bianco e di rosso dei colli piacentini, ma la sera, solo acqua minerale (gasata). Ha l'aria timida e dimessa di uno che di cose ne sa troppe e, per quanto sempre affascinato dal mondo, comincia ad avvertire un pizzico di noia: non credo sia un caso se a cena mi ha chiesto come si traduca in italiano il francese "ennui", che è l'inglese "boredom" ed è giustappunto l'italiano "noia". L'ha domandato così, senza motivo, senza un contesto preciso...

Ho individuato due motivi per questo suo atteggiamento, un po' nel corso dell'intervista che gli ho fatto (se a qualcuno interessa potrete leggerla sul prossimo numero di Pulp), un po' nelle moltissime chiacchiere di quella splendida giornata. Motivo uno: si sente ormai, ed è, abbastanza emarginato dal mercato editoriale. La cosa più significativa che stia scrivendo negli ultimi tempi, mi ha detto, è il suo diario. Per il resto, accetta incarichi per la classica pagnotta ("Se mi chiedono di scrivere un romanzo di Star Trek, io scrivo un romanzo di Star Trek"), ma il suo modo di scrivere tanto ironico e intelligente non è più ciò che il mercato vuole. "Oh, è cambiato moltissimo il mercato" ha dichiarato senza esitazioni. Siamo messi bene, commento io. Motivo due: è da tempo alla ricerca dell'idea che gli piaccia, la "bella idea" che lo stimoli nuovamente a buttarsi corpo e anima in un nuovo libro. Probabilmente, di "belle idee" ne ha usate tante in passato, e con tanta abbondanza, che adesso ha qualche problema. E come non capirlo? In libreria, un fan piacentino in evidente stato di adorazione (ma lo eravamo tutti, questo lo posso garantire) gli ha chiesto come diavolo abbia fatto a scrivere un romanzo come Il difficile ritorno del signor Carmody (Dimension of Miracles) E lui: "Avevo solo quest'idea, l'idea di uno che parte per un viaggio nello spazio e poi incontra MOLTI problemi a tornare. Ho cominciato a scrivere, e ho continuato di giorno in giorno, senza assolutamente sapere dove sarei andato a parare. Quando ho finito avevo scritto il romanzo." Alla faccia (mio commento) di scalette millimetriche e tecniche di scrittura imparate in un corso o nell'altro: se c'è il genio, hai voglia.

Come tutte le grandi personalità, Bob è comunque bifronte. Si può si cogliere una certa tristezza, una certa noia, in alcuni suoi momenti, ma la vivacità, la simpatia, la diabolica abilità nel rigirare il senso di parole e di frasi sono altrettanto tipiche della sua indole. Ha pronunciato un mare di folgoranti battute che gli venivano così, di punto in bianco; e a sentirle, a scoppiare a ridere perché è semplicemente inevitabile, si capisce benissimo come abbia potuto scrivere le sue deliziose storie. La sua battuta più memorabile? Per me, questa: quando in libreria gli hanno chiesto se la fantascienza non si possa considerare la fantasia della scienza, lui ha risposto: "Potrebbe essere la razionalizzazione della scienza." A Roberto Genovesi, un prode che si è sciroppato ore di autostrada da Roma a Piacenza per stare in sua compagnia, ha scritto una dedica che dice all'incirca: A Roberto, che è venuto sin da Roma per vedermi.

Però io sono venuto da Portland. E via dicendo.

Casa mia si è riempita di gente giunta da mezza Italia per festeggiare Bob. Il quale ha firmato letteralmente centinaia di libri, con molto gusto, mi sembra.

C'è stato persino qualche delinquente che gliene ha portati cinque o sei (però non facciamo nomi perché è sempre antipatico, vero Alfio? :) Io mi sono limitato a due. Credo onestamente che questa miniconvention dedicata a lui, la più memorabile delle CurtoniCon, con la partecipazione di 40/50 persone, gli abbia dato grande piacere. Nel pomeriggio mi ha detto di trovare eccezionale il calore umano dal quale si è sentito circondato; e la sera, a cena, prima di andare in libreria, quando gli ho chiesto cosa ne pensasse della sua giornata piacentina, mi ha detto: "Quando ho cominciato a scrivere fantascienza, pensavo che sarei sempre rimasto nell'anonimato, come gli autori di gialli che scrivevano sulle riviste pulp, scrittori dei quali si leggevano le storie ma poi nessuno ricordava i nomi degli autori. E invece guarda cosa mi sta succedendo qui in Italia... Incredibile." Ebbene sì, lo abbiamo circondato d'amore, e anche se a tarda notte io ero letteralmente spossato dopo una giornata piuttosto impegnativa (soprattutto per i miei poveri piedi, ammettiamolo), sarei pronto a rifarlo in qualunque momento. We love you, Bob.

Chiudo coi ringraziamenti d'obbligo. Smisurati: a Bob per essere stato con me, con noi, e per essere l'uomo che è; a Roberto Quaglia (e al suo fido Max, che a un certo punto del pomeriggio si è addormentato sul mio divano tanto era distrutto!) per avere portato Bob da me; ai moltissimi amici che si sono radunati al pomeriggio e in serata per celebrare il rito laico del "thank you" collettivo a Bob; e a mia moglie, Lucia, che ha fatto il possibile e l'impossibile per dare forma concreta a questo straordinario regalo di compleanno in anticipo. Spero di avere fatto la mia modesta parte, ma resto in perenne debito con tutti.

P.S.: dopo pranzo, Bob ha chiesto di riposare un po'. Si è coricato sul mio letto e ha fatto un pisolino di tre quarti d'ora, mentre Quaglia, Max, Lucia e io ci ritiravamo in cucina per caffè e chiacchiere. Credo proprio che mi farò preparare una bella targa con la scritta ROBERT SHECKLEY HA DORMITO QUI e la appenderò alla parete. Mi pare il minimo.



Foto di Elena Pittofrati. I diritti su testi e immagini sono riservati. E' vietata la riproduzione senza l'autorizzazione degli autori.