C.a. Ph.D. Benjamin AndersonDipartimento di Sociologia, M.I.T.
Boston, Massachusetts
25 Giugno
Gentile signore,
in merito al suo articolo propostoci in data 14 c.m., siamo lieti di comunicarle l'accettazione da parte del comitato di lettura. Sincere congratulazioni. A giudizio unanime della redazione, il suo saggio sociologico sulla degenerazione del buon senso e sull'influenza dei media sulla opinione popolare è oltremodo acuto, interessante, e meritevole di pubblicazione.
Espletato il compito formale, signor Anderson, vorrei aggiungere ancora qualche riga a titolo personale. Sebbene non abbia in alcun modo influenzato la nostra decisione (è prassi usuale di "Nature" pubblicare tesi e dare spazio ad opinioni anche non condivise dalla redazione, nè potrebbe essere altrimenti), tengo a dirle che personalmente concordo in pieno con la sua analisi, impietosa ma schietta, almeno fino alle sue conclusioni.
Le confesso la verità: meditavo da tempo di scrivere io stessa un saggio sull'argomento, ed avevo già raccolto materiale e buttato giù una bozza, credo però destinata a restare incompiuta a causa dei miei numerosi ed irrinunciabili impegni. Purtroppo.
Mi permetto dunque di confrontare la sua analisi con i miei appunti, e di tediarla con il risultato di questo confronto. Spero vorrà perdonarmi.
Parto riportando un passaggio del suo articolo, laddove lei afferma: "I tempi ed i modi della ricerca scientifica sono divenuti agli occhi della gente arcane liturgie per iniziati. La cultura collettiva rifugge e disprezza le regole razionali del Conoscere, mentre si nutre e s'ingrassa dei miti mutuati dai mass-media."
La sua è un'osservazione luminosa, dottor Anderson, che io condivido: l'uomo della strada ha abbassato pericolosamente la propria soglia di scetticismo, e cede ai loro poderosi richiami dei media senza minimamente sforzarsi di discernere il plausibile dall'assurdo. Tuttavia io credo che di ciò l'uomo della strada sia la vittima, e non il colpevole.
La colpa, dottor Anderson, è dell'informazione. Da un lato essa è sovrabbondante, ossessiva, eccessiva, e porta all'assuefazione; dall'altro, essa è carente nella correttezza, è approssimativa quando non mendace: la quantità è cresciuta a discapito della qualità. E questo è vero soprattutto nel nostro campo, quello della divulgazione scientifica: mentre nessun giornale o rete televisiva affiderebbe un servizio sul Superbowl ad un cronista che non conoscesse il football, o incaricherebbe di intervistare il Presidente ad un giornalista digiuno di politica, con la massima tranquillità oggi si affidano articoli sulla scienza e sulle nuove tecnologie a chiunque sappia tenere in mano una penna. Ed i risultati si vedono.
Certo, come lei dice c'è anche chi specula sull'ignoranza, chi vende la sua credibilità. E ci sono persone che, dal tanto gridare il falso dietro compenso, si convincono che quanto stanno urlando sia invece verità: il meccanismo mentale del cercatore d'oro che, tornato in città con la falsa notizia di un giacimento, gongola al vedere la gente che si precipita a seguire l'inganno, ma che alla fine, accorgendosi di essere rimasto solo, riflette che forse nelle voci c'è qualcosa di vero, e si affretta a riprendere il piccone ed a raggiungere gli altri... Non c'è bisogno di far nomi, credo, ma a riguardo vi sono stati esempi recenti, esempi anche piuttosto plateali.
Come lei giustamente osserva, per l'uomo della strada la scienza è diventata qualcosa di astratto, qualcosa di estraneo al senso comune. Citando ancora il suo articolo: "Tra la cultura collettiva e la cultura scientifica è sorta una barriera d'incomprensione e di disinteresse, un vallo opaco all'ombra del quale una nuova quieta ignoranza regna sovrana."
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