Con l'arrivo di Il ritorno del Re nelle sale cinematografiche italiane sulle pagine del quotidiano di sinistra L'Unità Roberto Cotroneo parlando del romanzo scrive che su di esso "pende una condanna ideologica piuttosto forte. (...) Libro di destra. Meglio ancora: libro chiave di una certa cultura di destra." Le rievocazioni della certamente destrosissima signora Rauti Alemanno sembrano confermare che c'è del vero in quanto scritto da Cotroneo. Ed è forse superfluo ricordare che lo stesso editore italiano del libro fino a pochi anni fa, Rusconi, è vicino alla destra.
Tuttavia questo scontro tra ideologie mi pare, francamente, un po' esagerato. Il romanzo di Tolkien è piaciuto in passato e piace tutt'oggi a gente con idee politiche contrapposte. Peraltro Cotroneo nel suo lungo articolo di analisi sul fenomeno editoriale e cinematografico in questione dice tante cose, alcune condivisibili, altre no. Tra queste ultime, tanto per fare un esempio, quando scrive che uno dei limiti del "messaggio" del libro sarebbe quello di aver ritratto Il Male in modo assoluto. "Il male in Tolkien sta altrove "scrive l'autore dell'articolo, "non è parte di noi, non è qualcosa che ci appartiene da sempre. E nel momento in cui posso decidere che il male è altro da me, totalmente altro da me, posso decidere che quel male da annientare va cercato da un'altra parte. E' la logica delle persecuzioni, dell'annientamento altrui...". Mi sembra che a contraddire questo ragionamento ci sia Gollum, e persino Frodo. Gollum era egli stesso un hobbit, uno dei "buoni" della vicenda, prima di rimanere soggiogato dal fascino dell'anello. Lo stesso Frodo nel corso del suo viaggio ne finisce sempre più pericolosamente sedotto. L'enorme attrattiva che può venire dal concetto di possedere il Potere Assoluto si esercita quindi, eccome, anche sui personaggi positivi del racconto, i pacifici hobbit. Anche in loro (dentro ognuno di loro e dunque anche dentro ognuno di noi) il seducente seme del desiderio di potere può germogliare rigoglioso. E a volte farci dimenticare la nostra umanità. Ma è un aspetto negativo, malvagio, della nostra condizione di esseri viventi che ci portiamo dentro, che alberga in noi, e non è totalmente alieno, esterno, "altro".
Ma passiamo al cinema, occupandoci dell'impresa su celluloide che ha riportato in auge Il Signore degli Anelli. Ovvero, è successo quello che fino a poco più di un decennio fa era impensabile: l'adattamento del mattonesco opus tolkieniano per il grande schermo. A compiere il miracolo ci è riuscito in modo brillante Peter Jackson (Creature del cielo, Sospesi nel tempo), complici lo sviluppo delle tecnologie digitali ed il cambio favorevole tra il dollaro americano e quello neozelandese, una congiunzione astrale di quelle che si verificano assai raramente. Originariamente doveva produrlo la Miramax (gruppo Disney), che aveva intenzione di raccontare la storia in due film. Jackson voleva che da ognuna delle tra parti del romanzo fosse ricavato un film. Entra successivamente in campo la New Line Cinema (gruppo Warner) che accetta l'idea della trilogia.
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