Luce e ghiaccio
Un puntolino di luce. Ecco cos'è stata Europa per quasi quattro secoli: una minuscola sorgente di luce, come una piccola, debole stella. Dal 1610 fino agli anni '60, Europa è stato un semplice disco luminoso, troppo piccolo anche per essere risolto dai telescopi più potenti. Nient'altro che una luce che gravitava intorno a Giove. Viste le dimensioni paragonabili a quelle della nostra Luna (Europa è leggermente più piccola: 3.126 km di diametro contro i 3.476 km della Luna) era lecito pensare che si trattasse di un corpo assai simile, visto che anche le piccole dimensioni suggerivano un corpo privo di atmosfera, e nel Sistema Solare, i piccoli corpi privi di atmosfera tendono ad assumere tutti una conformazione simile: rocce e crateri, crateri e ancora crateri, come ad esempio appunto la nostra Luna, oppure Mercurio, Callisto o Teti. Fu appunto negli anni '60 che grazie ai primi studi spettroscopici venne dimostrato che Europa, come molti altri corpi che si trovano a orbitare nelle lontane e fredde regioni del Sistema Solare, è ricoperto di uno strato ghiaccio che, viste la bassissime temperature superficiali (-163 °C all'equatore e addirittura -223 °C ai poli) deve formare una spessa crosta solida come la roccia. Per il resto non si sapeva ancora nient'altro, né della conformazione superficiale di questo ghiaccio, né tantomeno di che cosa ci fosse sotto. Le prime importanti scoperte, che contribuirono a rivelare molti particolari della natura di Europa e, come spesso accade in questi casi, ad accendere nuovi affascinanti interrogativi, iniziarono con l'inivio delle sonde automatiche americane della serie Voyager.
Arrivano i nostri!
Quando nel 1979 la Voyager 1 si avvicinò fino 350.000 km da Giove e scoprì i vulcani di Io, non era la "prima volta" che un oggetto creato da mani umane se ne andava a spasso per il sistema gioviano. Il Pioneer 10, lanciato da Cape Canaveral il 2 marzo 1972, giunse al massimo avvicinamento con Giove pari a una distanza di soli 131.000 km il 3 dicembre 1973. Ma, naturalmente, il "dio" aveva la precedenza, e la missione del Pioneer 10 fu di eseguire essenzialmente studi sulla magnetosfera e l'atmosfera di Giove, inviando a Terra più di 300 straordinarie immagini del gigante gassoso. Due anni dopo fu la volta del Pioneer 11, che il 2 dicembre 1974 transitò a soli 46.400 km di distanza da Giove, per poi proseguire il suo viaggio alla volta di Saturno. Anche il numero 11 si limitò a studiare Giove, integrando i risultati della sonda precedente. Fu il Voyager 1, lanciato il 5 settembre 1977, paradossalmente quindici giorni dopo il gemello Voyager 2 il quale iniziò il suo viaggio il 20 agosto dello stesso anno (ma arrivò per prima, sfruttando una traiettoria più "economica") a spostare l'attenzione per la prima volta sui satelliti galileiani, in particolare Io, Ganimede e Callisto, nonché di effettuare nuovi studi su Giove. Europa tuttavia non fu inserita tra gli obiettivi primari del Voyager 1, ma lo fu tra quelli del Voyager 2 e fu proprio grazie alle sue fotografie che, il 9 luglio 1979, gli scienziati poterono cominciare a farsi un'idea di com'era fatta davvero Europa.
La fanciulla con le rughe
Un enorme gomitolo di spago del diametro di oltre 3.000 km in orbita intorno a Giove! Ecco la prima cosa bizzarra cui venne da pensare ai ricercatori, quando videro le prime immagini di Europa. Pianure biancastre e brillanti, solcate da striature scure, come venature, presenti pressoché in ogni zona del pianeta senza possedere apparentemente alcuna disposizione privilegiata. Erano dappertutto, in ogni direzione, come governate solo dal caso a formare una specie di guscio corrugato di colore giallo pallido solcato da regioni rossastre e marroni. Si notò immediatamente che queste "rughe" correvano per migliaia di chilometri e sulla Terra analoghe strutture geologiche avrebbero indicato la presenza di alte montagne e profondi canyon. Su Europa invece nessuna di queste conformazioni si rivelò più alta di alcuni chilometri, cosa che rende Europa uno degli oggetti più "lisci" del Sistema Solare. Ma fin da subito fu notata una cosa ancora più straordinaria, ovvero l'assenza di tutto ciò che ci sarebbe aspettati da un corpo celeste di questo tipo: i crateri da impatto. Alcuni vennero rilevati, ma non nel numero che ci si sarebbe aspettati da un pianeta privo di atmosfera. Al loro posto, invece, solo queste lunghe cicatrici. I ricercatori rilevarono inoltre che spesso i lati opposti di queste striature combaciavano alla perfezione, a indicare che la superficie si era in qualche modo crepata, lacerata, spaccata, e che del materiale più scuro, proveniente dall'interno, le aveva colmate.
A questo punto, i quesiti di importanza cruciale erano diventati (almeno) tre: 1) perché erano visibili così pochi crateri da impatto?, 2) perché la superficie si crepava in quel modo?, 3) che cosa fuoriusciva dall'interno del pianeta? Inutile dire che le tre questioni avrebbero dovuto essere risolte tutte insieme.
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