Appena fuori dai cancelli si scontrò con una figura robusta ferma sul marciapiedi. Si affrettò a porgere servilmente scusa, dato che l'altro non indossava giacca e cravatta aziendali e quindi si trattava certamente di un manager. Solo gli impiegati, infatti, erano tenuti alla divisa regolamentare, mentre i dirigenti potevano conciarsi come volevano, anche se in pratica erano tutti attentissimi a seguire le inclinazioni estetiche del Grande CEO: Winston ricordava ancora che, quando a quest'ultimo era venuta la fissa dello stile tirolese, gli executive del suo codazzo erano andati per settimane in giro vestiti da Heidi.

L'altro si voltò. Winston lo riconobbe con sorpresa.

- Dottor O'Brien! - sussultò.

- Non qui! - lo zittì il manager. - Possono sentirci: vieni con me.

Winston seguì l'altro per vicoli e stradine tortuose. Ogni tanto faceva per chiedere qualcosa, ma O'Brien gli imponeva di marciare in silenzio. Quel fare da cospiratore confortò Winston, perché era chiaro che l'altro condivideva la sua voglia di ribellione contro il sistema che li schiacciava entrambi. In qualche modo aveva sempre saputo che O'Brien era dalla sua parte: in un sogno ricorrente si vedeva discutere col manager in uno scenario grande, ampio, luminoso, nel quale sembrava che tutta la sua vita fosse spiegata dinanzi a lui come un paesaggio in una sera d'estate dopo che sia stato lavato dalla pioggia.

Finalmente O'Brien si arrestò. - Qui siamo al sicuro. Puoi parlare liberamente.

Quell'avverbio commosse Winston nel profondo, ma nello stesso tempo lo fece sentire inadeguato e stanco. Sentì di puzzare di caffé stantio. Sembrava che quel puzzo gli uscisse dai pori della pelle invece del sudore, e si sarebbe anche potuto credere che le lagrime che gli venivano fuori dagli occhi fossero pura miscela espresso.

- Allora? - lo esortò O'Brien.

Winston decise di liberarsi di tutti i rospi che aveva in gola, e scaricò addosso a O'Brien un torrente di frustrazione, amarezza, astio e rabbia, dando sfogo a tutto ciò che teneva dentro da troppo tempo.

- Si dice... - mormorò infine con voce timorosa. - ...che esista un'organizzazione segreta capace d'opporsi allo strapotere del Grande CEO. Io... io credo che lei ne faccia parte.

- Intendi il "sindacato"?

Winston impallidì: era una parola che mai avrebbe immaginato di sentir pronunciare da un manager.

- Ecco... se lei facesse parte di questo sinc... sind... - le labbra di Winston si rifiutavano di emettere suoni tanto rivoluzionari. - ...In questo caso, dicevo, sappia che voglio unirmi a voi, e lottare contro il Grande CEO.

O'Brien annuì gravemente. - Va bene - disse alla fine. - Eccoti il nostro manifesto ideologico. Leggilo attentamente, ti darà tutte le risposte.

Winston fissò perplesso il volume che l'altro gli aveva messo in mano. La copertina recitava "Scott Adams - Il principio di Dilbert".

- Le dico che voglio ribellarmi e lei mi dà un libro?

- Esatto. Che c'è di strano?

- Che cazzo, dopo tutti questi dialoghi pallosissimi, come minimo mi aspettavo una P38, un kalashnikov, almeno uno schifo di bomba molotov!

- Ehi, ma questo mica è un romanzo d'azione! E' un saggio utopico, ci si ribella in forma raffinata e intellettuale.

- Vale a dire?

- Vale a dire che ci sciroppiamo ancora almeno una cinquantina di pagine di pedantissime discettazioni politiche e di ancor più saccenti analisi socio-economiche in cui spacchiamo il capello ideologico in quattro, poi alla fine ci catturano, ci danno un sacco di mazzate e ci fanno un culo quanto la cupola di S.Pietro per simboleggiare l'inanità della nostra lotta. Chiaro?