Quando cominciato a pensare a una parodia di 1984, ritenevo che fosse del tutto superfluo introdurre la trama e la tematica di quello che viene comunemente considerato uno dei romanzi chiave del Novecento, un'opera-pamphlet di straordinario valore e significato, cardine di una successiva nutrita narrativa di estrapolazione politica, sociale e, diciamolo pure, fantascientifica.
Mi sbagliavo. Introdurre 1984 non è per nulla pleonastico, dato che nell'immaginario collettivo, oggi, il Grande Fratello richiama alla mente dei più soltanto un triviale reality show a base di palestrati tatuati e allegre ballerine tettute & chiappute.
Ammettiamolo: le legioni di ragazzotti che venderebbero padre e madre (la sorella l'hanno già data via ai saldi di fine stagione) per superare i provini del suddetto realitisciò non hanno, in schiacciante maggioranza, la minima idea di chi sia Orwell (Eric Blair? L'amicone di Silvio non si chiama Tony?), né hanno mai sfogliato questo strano romanzo ambientato in una data all'epoca futuribile (Orwell lo scrisse intorno al 1948) ma ormai superata da vent'anni.
Parliamone, dunque. In due parole, 1984 è la descrizione di un possibile futuro caratterizzato dal potere più oppressivo e dal più agghiacciante controllo sulla persona che si possa concepire. Orwell immagina che nel 1984 il mondo sia diviso in 3 super-stati, dominati da altrettante dittature e in perpetua guerra tra loro. Il protagonista del romanzo, Winston Smith, vive a Londra, città periferica di Oceania, uno di questi 3 mondi-nazione. Più che governata, Oceania è capillarmente dominata dal Partito (Socing) e dal suo onnipresente e immateriale capo carismatico, il Grande Fratello. Il romanzo racconta dei tentativi di ribellione (in verità più intellettuali che fisici) di Smith contro l'invincibile potere del Partito, e della sua inevitabile sconfitta.
Completata la necessaria premessa informativa, mi concedo anche qualche azzardo critico (continuando ad prostrarmi davanti ai maestri che ne sanno cento volte più di me ma non per questo riescono a farmi stare zitto).
Dal punto di vista della narrazione pura, secondo me 1984 è un romanzo piuttosto brutto. Ok, l'ho detto, e mi sento tanto Fantozzi quando esplode che La Corazzata Potëmkin è una cagata pazzesca. Sorry ma la penso così: la struttura narrativa di 1984 ha più di un difetto, la storia procede cigolando, i personaggi hanno lo spessore di sogliole, lunghe e noiose divagazioni (dai dump informativi agli insopportabili frammenti di filastrocca) farciscono i capitoli e spezzano l'azione, i colpi di scena sono telefonati, il finale è scontatissimo...
Come saggio, viceversa, l'opera di Orwell è immensa. Doppio inchino, a tortiglione. Lo studio della dinamica storica della dittatura (come lo fanno, perché lo fanno) è lucidissimo, efficace e profondo. Concetti quali il bispensiero, l'alterazione della memoria storica per condizionare il futuro, e soprattutto l'addomesticamento del linguaggio per condizionare le strutture del pensiero sono ideazioni geniali, e rivelano una penultima verità: Orwell era un analista politico con i controcoglioni, gente, roba che Mao Tze Tung poteva fargli da portaborse.
Per questo a 1984 si può perdonare tutto, persino qualche accenno di pedanteria (ad esempio l'insistere sulla sintassi e l'ortografia della Neolingua). Signori, Orwell ha scritto una straordinaria opera di divulgazione politica sotto forma di romanzo, rendendo fruibile al Grande Pubblico (ok, nella forse ingenua ipotesi che il Grande Pubblico legga) dottrine assai ostiche. Si tratta di un'impresa non da poco, e ve lo dice uno che ha tenuto per anni sul comodino i tre elefantiaci tomi de Il Capitale senza riuscire a digerirne più dei primi paragrafi.
Un ultimo commento riguarda l'incredibile angoscia, il senso di disagio, di malessere che il romanzo di Orwell riesce a trasmettere. Tra le pagine di 1984 si viene spesso presi dallo sconforto e dall'inquietudine, non solo perché l'inutilità della lotta dei protagonisti contro il Potere è del tutto evidente, ma anche perché nel corso della lettura ci si rende conto che avvisaglie di un futuro oppressivo e dittatoriale si riconoscono agevolmente nel mondo d'oggi. A parte le ovvie assonanze con l'attuale strapotere del teleschermo, c'è almeno una realtà odierna (sottolineo almeno una!) in cui concetti orwelliani quali il culto del Capo Onnipotente, l'annullamento dell'individuo, il Controllo Totale, i rapporti personali basati sull'avversione e il sospetto, il continuo assoggettare la Verità al Potere, l'indottrinamento basato sugli slogan e sulle parole d'ordine, sono già assolutamente presenti e concreti. Tale realtà è costituita dal microcosmo che esiste all'interno alle grandi aziende.
Leggere quanto segue per credere. O almeno per riderci su.
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