Non voglio lasciarlo morire, dobbiamo fare qualcosa, spingerlo in acqua, allontanarlo dalla riva e fargli riprendere il mare! - Letizia si rivolgeva a me, adesso, occhi tristi e voce sommessa, ma decisa. - Pian piano non riuscirà più a respirare, la pelle si seccherà e morirà. Non voglio che muoia, dobbiamo convincerlo che non può abbandonarci così. Non possiamo perdere anche lui. E' un essere fantastico che ricorda tutto e oggi non ci sono più né mostri né meraviglie. Noi del suo passato abbiamo solo confusi bestiari mentre lui ha visto davvero le cose nascoste che sono vissute nell'oceano.

Ora so che conosce queste spiagge - risposi, - lui le ha visitate davvero in altri tempi perché c'è una sua immagine nella Cattedrale. L'ho visto, tanti anni fa, lo restauravano e poi l'hanno ricoperto, ma esiste un mosaico sul pavimento del duomo di Pesaro, sotto l'attuale, risale all'ottavo-decimo secolo. Un grande uomo pesce campeggia su un lato, vicino a navi a remi. E' diverso da tritoni e sirene perché non ha corpo da pesce, solo la testa, il resto è umano. Ma davvero non pensavo fosse così grande. Strano luogo Pesaro, c'è un serpente di mare anche nell'antica stele picena della nave di Novilara...

Nel mare si può diventare grandi perché l'acqua ti sostiene - disse lei come se non mi avesse ascoltato, - ma qui presto morirà.

Hai un nome? - chiesi all'immensa forma distesa.

Il fruscio potente uscì ancora dalla sua bocca: - Mi chiamano Re'em. Ma ora nessuno più conosce il mio nome. Hai ragione tu, uomo delle spiagge, queste acque mi sono familiari e vi fu un tempo in cui la gente si accalcava sui moli, i piccoli delfini danzavano sull'onda di prua dei vascelli e uomini sacri discutevano con me dei misteri del mare; e fui io a insegnare ai Tagliatori che stavano sulla prua delle barche dei pescatori come disperdere le tempeste. Quando la Sciò, la tromba marina, l'uragano, si avvicinava alle loro barche e alle loro terre, insegnai loro le parole adatte per tagliare l'aria con un coltello affilato. E la tempesta moriva. Ma anche loro sono morti e quest'arte oramai è solo un ricordo. Forse anche tu lo sai.

Era vero, perché tutto ciò faceva parte delle tradizioni dei nostri vecchi marinai.

- Vedi - proseguì, volgendo la grande testa verso la mia compagna che era in piedi accanto a me - non restano molti motivi per vivere, quando si è soli. Sono stanco. Anche il serpente marino di quella che tu chiami la nave di Novilara è morto sulle rocce della Cornovaglia. - Terminò questa frase con un'ombra di sorriso che certo le squame e le ossa fisse del volto non avrebbero dovuto esprimere.

La giornata invernale era avanzata, ma il cielo grigio e una sottile nebbia che arrivava a banchi dal mare invece che sfumare rendeva quasi più concreto e intimo l'incontro. Le piccole onde che andavano a frangersi sulla spiaggia emergevano bianche, d'improvviso, come se al di là dominasse il nulla. Poi il vento spingeva la nebbia lontano e ricompariva un mare plumbeo appena mosso dal respiro delle onde. Alle nostre spalle si alzava la falesia solitaria. Alte canne in abito invernale, distese di ginestre, che a maggio sarebbero fiorite di giallo e d'oro. A sera il loro odore dolce calava dalla collina in onde profumate che ingentilivano l'aspro sentore del mare.

Stupidamente mi ero perso in pensieri oziosi e stavo divagando senza motivo, riesumando altri pomeriggi su quelle colline e lo splendore dorato della fioritura delle ginestre.

Ma Re'em incombeva su di noi. Con il suo respiro ormai un po' affannoso e la testa di un pesce, incongrua in quel grande corpo umano. I grandi occhi tondi e scuri fissavano il mondo che per lui era sempre scorso senza fretta. La bocca era grande, come le cernie, con file di denti aguzzi che s'intravedevano nella sua oscura cavità. Non incuteva timore, anzi rimpiangevo di averlo trovato lì disteso sulla spiaggia come una carcassa e non a guizzare in quel mare di piombo. Mi sarebbe apparso nella nebbia e per sempre avrei pensato di avere vissuto una straordinaria illusione.