Un ottimo nome per esordire. Con Granata Press hanno iniziato tanti autori, da Nicoletta Vallorani a Stefano Massaron.

Purtroppo dopo non molto tempo Granata finì a gambe all'aria, e il romanzo scomparve dalle librerie.

Il mio terzo romanzo pubblicato si intitolava originariamente Noctis Labirintus, come il racconto che ho recentemente pubblicato su Robot. E' la storia della prima spedizione su Marte, una spedizione davvero un po' particolare, organizzata da un privato in mezzo all'indifferenza generale e contro l'interesse delle sue stesse società. L'avventura marziana è poi ambientata nel Noctis Labirynthus della Valles Marineris. Il titolo venne poi cambiato in Il giorno della sfida. Tentai di dissuadere Viviani, ma non ci fu niente da fare. Secondo me un titolo così è troppo generico!

Non sei l'unico autore di fantascienza ad avere incontrato problemi del genere.

E' vero. Io capisco che gli editori debbano pensare al mercato, ma secondo me noi scrittori spesso vediamo un po' più lontano di loro.

Comunque sia, siamo arrivati al romanzo che ha vinto il premio Urania, dopo aver partecipato più volte, e sarà intitolato probabilmente La scala infinita. E' un romanzo che ho riveduto e corretto a ogni edizione del premio. Del resto io faccio fatica a lasciar perdere i miei romanzi. Non riesco a mollarli, faccio aggiunte e cambiamenti fino all'ultimo.

Quali sono i testi su cui ti sei formato?

Come lettore mi sono formato inizialmente sui grandi classici, da Verne a Twain, a Poe, a Kipling. Poi ci fu la svolta fantascientifica. Da bambino impazzivo per dischi volanti, extraterrestri e così via. Già da piccolissimo avevo letto Dagli abissi alle stelle di Raul Pra e tra gli 11 e i 12 anni, accanto ai classici, ho cominciato a leggere fantascienza. Alla biblioteca per ragazzi di Bergamo c'era un basso scaffale pieno di libri di fantascienza editi da La Sorgente e AMZ. In un anno li finii tutti e non sapevo più cosa leggere, così smisi per due o tre anni finché non scoprii Urania. Ci furono sei o sette anni di monomania, poi intorno ai 20 anni ho ampliato nuovamente lo spettro delle mie letture.

Riesci a esprimerti meglio nel romanzo o nel racconto?

Mi sono orientato principalmente sui romanzi, ma la motivazione è soprattutto di tipo pratico. Le possibilità di pubblicazione dei racconti sono molto limitate, e raramente portano a sbocchi di tipo professionale, a differenza dei romanzi, che sono altrettanto difficili da pubblicare, ma perlomeno permettono una diffusione al di fuori del giro amatoriale.

Come si è evoluta la tua scrittura nel corso della tua carriera?

Domanda difficile. Credo che la mia evoluzione sia stata in direzione della consapevolezza della scrittura, della capacità di entrare più a fondo nelle menti dei personaggi, piuttosto che in quella della costruzione architettonica, strutturale, del romanzo. Con "consapevolezza della scrittura" intendo la capacità di mantenere un certo livello di qualità, al di là della cosiddetta "ispirazione", quella che fa sì che un dilettante scriva un racconto bello senza sapere bene come ha fatto, e poi magari ne scriva altri dieci tutti brutti.

A questo proposito, è proprio la curiosità sui miei meccanismi creativi personali che mi ha spinto a tenere, dal 1991, corsi regolari di scrittura creativa. L'ultimo corso che ho tenuto aveva un tema bellissimo: leggere e scrivere sotto le stelle. Ci recavamo nei luoghi suggestivi di Bergamo, per esempio in un monastero abbandonato o al castello, con torce elettriche, e seduti per terra leggevamo Edgar Allan Poe, Baricco e altri scrittori, scegliendo brani in tema con il luogo. E poi si scriveva. Mi sono veramente divertito, l'anno prossimo lo ripeterò.