Dal Progetto Genoma al DNA pigliatutto
Lasciando da parte qualsiasi considerazione morale legata alla questione, la procedura di clonazione è in verità tutt'altro che complessa. Prendiamo per semplicità il caso della pecora Dolly, di cui tutti abbiamo sentito parlare. Com'è stata realizzata? Innanzitutto da una pecora è stata estratta una cellula mammaria (ma la clonazione può essere eseguita anche a partire da diversi tipi di cellule) ed è stata posta in una soluzione opportuna priva di nutrimento in maniera di despecializzarla. Da un'altra pecora è stato poi prelevato un ovocita, ovvero una cellula riproduttiva femminile. Il nucleo dell'ovocita è stato rimpiazzato con il nucleo della cellula mammaria, dopodiché una debole scarica elettrica ha innescato la moltiplicazione cellulare. In questo modo la cellula così ottenuta ha iniziato a comportarsi come un embrione, moltiplicandosi in vitro. Infine l'embrione è stato inserito nell'utero di un'altra pecora ancora e da questa gravidanza è nata una pecora con l'identico patrimonio genetico della prima pecora, ovvero un suo clone.
Cercando una soluzione al problema etico che un processo come la clonazione porta con sé, alcuni hanno avanzato la distinzione tra clonazione terapeutica e clonazione riproduttiva, come se la prima potesse essere moralmente più accettabile della seconda. Tecnicamente, tuttavia, va sottolineato che tra le due non c'è alcuna differenza, se non che nel primo caso lo sviluppo dell'embrione viene interrotto nelle primissime fasi per il prelievo delle cellule staminali da utilizzare per scopi terapeutici, mentre il secondo viene lasciato sviluppare in maniera naturale con una gravidanza in un utero nel quale viene impiantato.
Dal punto di vista della ricerca biologica, il successo del processo di clonazione ha evidenziato che, tutte le cellule del corpo possiedono il patrimonio genetico necessario alla creazione di un nuovo individuo. Per questo motivo e per il suo stretto coinvolgimento in tutti i processi che riguardano la vita, il DNA ha dunque assunto negli ultimi anni una posizione ancora più incontrastata. Dopo la scoperta dei microrganismi e quella del DNA, la recente conclusione dell'ambizioso Progetto Genoma, ovvero il completamento della catalogazione della sequenza delle tre miliardi di coppie di basi azotate dell'intero patrimonio genetico umano, costituisce solo l'inizio di un nuovo modo di vedere la medicina e la biologia molecolare. Ed è una visione che finisce per ridimensionare il ruolo dell'uomo esattamente come fanno le galassie.
Questa complessa catena di miliardi e miliardi di semplici elementi chimici che, da sola, è capace di generare la vita e di cui cerchiamo di carpire sempre più gli intimi segreti, può essere considerata la padrona incontrastata di tutte le cose viventi. Non a caso, nel suo affascinante libro Il gene egoista, Richard Dawkins ha avuto l'ardire di affermare che tutti gli esseri viventi in generale, e in particolare gli esseri umani in qualità di manifestazione più complessa delle cose viventi come noi le conosciamo, sono in realtà dei semplici involucri che i geni sono stati capaci di costruirsi per la loro sopravvivenza e la loro evoluzione.
La cosa straordinaria è che ogni cosa secondo Dawkins può, anzi, deve essere vista in quest'ottica. I meccanismi dell'evoluzione naturale, la sessualità, i comportamenti innati degli individui e tutto ciò che regola le "cose biologiche" dovrebbe insomma essere ricondotto al gene, al suo ruolo e al suo (misterioso) fine ultimo. Il gene come noi lo conosciamo potrebbe essere quindi il vero scopo dell'universo, oppure un tentativo mal riuscito o ancora il gradino intermedio di un'evoluzione non ancora terminata o interminabile. Comunque sia, quello che è certo è che, se Dawkins avesse ragione, dovremmo fare i conti con una nuova rappresentazione del mondo, una concezione non più antropocentrica, ma "genecentrica", una visione in cui il rango dell'uomo sarebbe solo quello di semplice tetrapak biologico, ma, per fortuna, riciclabile.
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