E' significativo come sino all'inizio degli anni Ottanta le scarse note biografiche su Lucio Fulci si esaurissero nel sottolinearne la consumata e "artigianale" abilità del tutto indirizzata al genere comico/popolare, imperniato soprattutto sulle peripezie della coppia Franco Franchi/Ciccio Ingrassia, attorno al quale la maggior parte della critica italiana vedeva "consumato" il talento del regista. Intrapresa agli inizi di quel decennio una via originale e autoctona sui sentieri dell'horror, biografi più sensibili e critici più attenti (dapprima in Francia e in America, in seguito gradualmente anche in Italia) scoprirono invece in Fulci una precisa e coerente vena fantastica che aveva i suoi più scoperti referenti in Edgar Allan Poe e in Antonin Artaud e che partiva da contaminazioni di genere assolutamente affascinanti (Una sull'altra, Una lucertola con la pelle di donna, Non si sevizia un paperino, Sette note in nero, ovvero il fantastico applicato ai meccanismi del giallo), transitando per operazioni più "sotterranee" (Tempo di massacro, I quattro dell'Apocalisse, cioè l'horror applicato agli stilemi del western), giungendo infine alla grande e sfrenata stagione inaugurata con Zombi 2, risposta deviante e intelligente al cinema dei "morti viventi" di George A. Romero.
Nato a Roma nel 1927, Lucio Fulci esordì alla regia nel '59 per merito di Totò con I ladri, dopo avere accumulato una lunga esperienza di documentarista e sceneggiatore con Steno, Bolognini, Mastrocinque. Per dieci anni fu attivissimo nel genere della commedia popolare, passando con disinvoltura dai primi film musicali con Mina e Celentano alle parodie dello sfrenato duo Franchi e Ingrassia. Poi nel '69 il primo incontro, forse casuale, con l'allora non ancora battezzato gore per merito di un nuovo remake di Beatrice Cenci (dramma gotico cinquecentesco, con il quale si erano già misurati Guido Brignone nel '41 e Riccardo Freda nel '56, con una nuova incursione di Bertrand Tavernier nel 1987 tramite Il quarto comandamento), nel quale si potevano vedere le scene di tortura più realistiche e raccapriccianti mai apparse sugli schermi sino a quel momento, e di un thriller assai ispirato a La donna che visse due volte di Hitchcock, Una sull'altra, dove un'efficace crescendo di suspense ben si univa ad un'embrionale ricerca estetica sulla "morte al lavoro". Stava per partire da lì a poco la grande stagione dei "gialli all'italiana", inaugurata ufficialmente da Argento con L'uccello dalle piume di cristallo e caratterizzata da una congerie di titoli tutti quanti in assonanza "animalistica" con il capostipite (Gatti a nove code, mosche di velluto grigio, iguane dalla lingua di fuoco e farfalle con le ali insanguinate ai vertici del bestiario) e Fulci vi partecipò con due film che per nulla imitavano lo stile innovativo del più giovane collega romano, Una lucertola con la pelle di donna e Non si sevizia un paperino, morbosi gioiellini intensamente onirici ambedue interpretati da un'ambigua e sensuale Florinda Bolkan, assolutamente straordinaria soprattutto nel secondo in cui interpretava una "strega" contemporanea dell'Italia meridionale, ingiustamente accusata dell'omicidio di alcuni bambini. Prima di partire alla grande con i grossi titoli degli anni Ottanta, Fulci realizzò Sette note in nero, un misurato ed efficace thriller parapsicologico con una Jennifer O'Neil in anticipo di vent'anni sulle tematiche "veggenti" alla Millennium di Carter. Quindi, a partire da Zombi 2, fu un crescendo, anche qualitativo, che vide il suo culmine con la sfrenata "trilogia della morte" (Paura nella città dei morti viventi, L'aldilà e Quella villa accanto al cimitero), nella quale l'accumulo quasi orgiastico di tutte le componenti del gotico diede vita ad un'estetica che ancor oggi vanta numerose legioni di qualificatissimi estimatori, Tarantino in testa. Purtroppo, com'è noto, un ingrato destino, manifestatosi sotto le spoglie di una grave malattia, cominciò ad influire pesantemente sulla vita, reale e artistica, del regista.Il suo grande ritorno, forse la sua definitiva consacrazione, avrebbe dovuto coincidere con la direzione del remake de La maschera di cera, prodotto da Argento e in seguito condotto da Sergio Stivaletti. Purtroppo la sfortuna ha privato Lucio Fulci di questa soddisfazione causa l'aggravarsi inesorabile del suo stato di salute. Un destino doppiamente beffardo, se si considera che Fulci ci ha lasciato nello stesso giorno in cui se ne andava il più famoso e blasonato Kieslowski, per cui di fatto accantonato anche nel momento della morte di fronte ad una maggior "visibilità mediatica" della medesima se riferita ad altrui persona. Ma i suoi film parlano ancora. E, carichi come sono stati d'intuizioni geniali e di presagi inquietanti, forse parleranno più a lungo di altri.
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