Tutti i film di Lucio Fulci, il terrorista dei generi
Il terrorista dei generi. Tutti i film di Lucio Fulci è il saggio di Giacomo Cacciatore e Paolo Albiero dedicato a Lucio Fulci. L'operaben sintetizza il rapporto tra Fulci - personaggio eclettico dotato di un umorismo caustico e irresistibile - e la sua necessità (o scelta) di percorrere le strade del cinema popolare con le sue regole narrative. In ogni genere da lui affrontato, Fulci ha sempre cercato, spesso riuscendovi, di scardinare le regole stesse: con l'iperbole visiva o la violenza grafica portata all'eccesso, con l'ironia, con la sua peculiare concezione sul rapporto "liberatorio" tra spettatore e opera cinematografica; sempre e comunque innescando elementi dirompenti che mettevano in discussione i canoni consolidati di un filone. Fulci ha agito, insomma, da vero "terrorista" delle regole più consolidate all'interno dei singoli generi, avvantaggiato anche da un invidiabile bagaglio tecnico.
Il saggio è un'opera straordinariamente documentata, curata con l'amore che solo un grande appassionato può riversare in un'opera. Il volume è ricchissimo di immagini a colori e dati raccolti con minuziosa precisione presso fonti originali in sette anni di faticosa ricerca.
Il libro si apre con la presentazione del critico Marcello Garofalo (Ciak, Segnocinema), uno dei primi "scopritori" e studiosi di Fulci. Segue un'introduzione di Antonella Fulci, figlia del regista.
Ogni film costituisce un capitolo (con poche e motivate eccezioni), e ogni capitolo inizia con le dichiarazioni più significative del regista sull'opera in questione. Segue una contestualizzazione storica della pellicola all'interno del genere di riferimento, una sintesi della trama e la ricostruzione della genesi e della lavorazione del film, con dati e fonti ministeriali inedite, aneddoti e curiosità. Questo lavoro è stato effettuato consultando direttamente documenti ministeriali di prima mano, e con l'ausilio di interviste (oltre 100, in totale) realizzate direttamente dagli autori a coloro che, a vario titolo, collaborarono alla pellicola in questione: produttori e ispettori di produzione, scenografi, direttori della fotografia, attori, effettisti e truccatori, sceneggiatori, montatori, aiuti e assistenti alla regia. Ne risulta un ritratto straordinario e "folcloristico" di un cinema che, purtroppo, non esiste più.
In appendice del libro, oltre alla filmografia dettagliata, sono riportate 7 lunghe interviste ai maggiori collaboratori in pianta stabile di Fulci, quali: aiuto regista, effettisti, direttori della fotografia.
Da segnalare inoltre il blog, curato da Giacomo Cacciatore e Paolo Albiero, direttamente collegato al libro: www.ilterroristadeigeneri.splinder.it
Il terrorista dei generi. Tutti i film di Lucio Fulci
di Paolo Albiero e Giacomo Cacciatore
All'interno: foto di scena, manifesti, foto dei film.
Prefazione di: Marcello Garofalo
Presentazione di: Antonella Fulci.
Un mondo a parte (Roma), 400 pagine, 32 euro
Il cinema di genere italiano. Puoi iniziare parlandoci di cosa è stato e quali sono stati i suoi grandi autori?
Innanzitutto è stata una grande bottega artigianale, multiforme, imperniata su competenze tecniche conquistate sul campo e rivolta a un preciso obiettivo commerciale. Ha costituito una fase storica del nostro cinema, nella quale - in un percorso parallelo alle istanze intellettuali degli anni '70, alla febbre del film "politicamente impegnato a tutti i costi" - abbiamo dimostrato al mondo che con pochi soldi e tanta inventiva si potevano creare prodotti cinematografici di gran successo popolare. Non solo in patria, ma anche e soprattutto all'estero. Una realtà esportabile che non si limitasse soltanto agli "exploit" - nobilissimi ma sparuti - di grandi maestri quali Fellini, Visconti e pochi altri. Senza contare che gli incassi all'estero di un Fulci o di un Enzo G. Castellari hanno contribuito non poco a rafforzare la macchina produttiva italiana che poi investiva in progetti più ambiziosi. Il cinema di genere nostrano ha anche rappresentato un esempio - non sempre programmatico, certo - di come l'inventiva dei nostri artigiani fosse particolarmente abile nelle operazioni di "contaminazione" tra i generi: il comico e il western, l'horror e il thriller, il peplum e il fantastico, il noir e il dramma erotico. Cose che poi gli americani hanno ammirato, imitato e alle quali continuano ad ispirarsi. Uno strano percorso, quello dei generi italiani: i registi si davano all'exploitation, allo sfruttamento di un filone estero di successo, per riprodurne le modalità e i meccanismi; ma alla fine, facendo di necessità virtù, spesso riuscivano a reinventare il modello di partenza. Creando un immaginario cinematografico unico e del tutto originale, con pregi e limiti. Quanto ai grandi autori del nostro cinema di genere, basta leggere una qualsiasi intervista a Quentin Tarantino per sentir fare alcuni nomi eccellenti: Bava, Di Leo, Castellari, Fulci. Fidatevi di Tarantino.
Qual è stato il rapporto di Lucio Fulci col cinema di genere?
Sicuramente un rapporto conflittuale, di amore-odio. Lucio Fulci, prima ancora che il regista "degli zombi" e il padrino del gore (come viene oggi definito da chi si occupa solo della fase più celebrata della sua carriera), era innanzitutto un uomo coltissimo, che viveva una sorta di "schizofrenia" d'intenti. Nell'immediato dopoguerra si era interessato di critica d'arte. Era un grande conoscitore di jazz. Frequentava i circoli degli intellettuali romani e i suoi amici erano pittori, scrittori e intellettuali d'alto lignaggio. Come autore, avrebbe potuto compiere facilmente il "salto di qualità". Eppure, girava i film di Franco e Ciccio, i western, i thriller, senza nemmeno lamentarsi troppo. E' possibile che si sentisse un po' emarginato, ma è un'ipotesi da prendere con le pinze; perché nella ricostruzione della vita di un personaggio complesso com'era Lucio, c'è sempre la trappola della doppia o anche tripla verità. Fulci era capacissimo di definirsi ora un regista spinto da "ragioni alimentari" e, subito dopo, affermare di non aver mai voluto far altro che cinema popolare, per passione, per scelta e per amore. Cosa, tra l'altro, confermata dalle testimonianze di chi lo conosceva bene. Su un punto è sempre stato chiaro. Non gli importava essere giudicato bene o male. Voleva soltanto che la sua opera fosse valutata senza pregiudizi. E di quelli, ne ha incontrati tanti.
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