Fra i quattro capolavori di Olaf Stapledon vi sono due romanzi privi di alcun dialogo, e gli unici due "personaggi" di tutta la sua opera sono un superuomo e un cane. Eppure, fra gli autori del Novecento, nessuno più di lui è rappresentativo delle specificità della SF britannica.
In una produzione più o meno giustamente dimenticata, la sua fama si deve a quattro romanzi, Last and First Men del 1930 (Infinito, Oscar 1990 e Classici Urania 1997), Odd John del 1935 (la cui unica ed. it. resta l'introvabile Q.I. = 10000, Galassia Udine, 1957, Star Maker del 1937 (Il costruttore di Stelle, Longanesi 1975), Sirius del 19 (Sirius, Armenia 1982 e Nord 2002). Fra le "scoperte" postume, alla loro altezza è il racconto "A Modern Magician", pubblicato grazie a Sam Moskowitz in Fantasy & Science Fiction, July 1979 ("Un mago moderno", Urania 817, 1980).
Con Stapledon la SF inglese, sempre legata al quotidiano e al realismo, decolla fino a raggiungere una portata cosmica, nello spazio e nel tempo. Non è un individuo il suo protagonista, ma letteralmente tutta l'umanità. E ancora di più, è cosmico il suo narratore - letteralmente onnisciente, in grado, in Infinito e nel Costruttore, di descrivere la storia dell'universo, abbracciando un'infinità di anni e di anni luce. Si è molto, e giustamente, parlato di una vastità talmente ampia da diventare metafisica: ma l'onniscienza in gioco è innanzitutto quella del racconto stesso. La SF di questo "filosofo cosmico" (la definizione è di Moskowitz) è soprattutto un grande - incommensurabile - omaggio al genere stesso, a cui Stapledon fornisce una parte cospicua di un repertorio che continua ad accompagnarci.
Ci accompagna in tutte le saghe cosmiche - quelle di Heinlein, Blish e Simak (ricordiamo che, pur dopo un limitato impatto iniziale, si fanno promotori di Stapledon anche grandi animatori come Donald A. Wollheim e Sam Moskowitz) e poi, con qualche semplificazione di troppo, Sterling in America. Ci accompagna in tutta quella tradizione visionaria che tipica della SF inglese. Stapledon è il vero padre letterario di Arthur C. Clarke (anche un film come 2001, odissea nello spazio gli deve molto, come ha scritto Carlo Pagetti), Aldiss, Hoyle, e nella generazione successiva Barrington Bayley, fino ad autori recentissimi come Stephen Baxter e soprattutto Greg Egan.
Nella prefazione a Last and First Men, Stapledon scrisse di voler raggiungere la dimensione del "mito", legandolo alla tradizione dell'utopia: più accuratamente, forse (con in mente i continui riferimenti alla musica sinfonica), potremmo parlare di un'epica. Ma la sua (il discorso vale anche per Star Maker) è un'epica senza eroi, o meglio con un eroe collettivo, descritto con distacco e fatalismo nei suoi trionfi e nella sua inevitabile tragedia finale. Dunque in Odd John, l'unica e molto (troppo) partecipata descrizione di un possibile anticipatore dell'umanità futura è (non sorprende) meno riuscita per quanto affascinante. Invece, la tragicommedia familiare di Sirius, più intimista e minimalista, è ancora più efficace per la presenza di un punto di vista limitato e straordinariamente "alieno", quella dell'eponimo eroe canino: nel tono di distacco tipico di Stapledon, insieme al divino, c'è tanta ironia.
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