Era tornato.
Dopo quanto tempo, non sapeva. Fuori il sole era alto... una tarda mattina di primavera, fredda e serena. L'indolenzimento, specie al collo, era di gran lunga meno feroce. La mente più lucida. O forse, pensò, mi sto abituando alla nuova routine.
Dalla finestra aperta giungeva il debole ronzio del traffico, l'urlo di una sirena della polizia. Ancora una volta guardò le dita delle mani aprirsi e richiudersi a pugno.
Aveva sete, il palato gli sembrava un crosta di fango. Scese dal letto e restò in piedi: lo accolse un pavimento meravigliosamente privo di curvature. Oltre le suole degli scarponcini avvertì lo strato soffice di un tappeto. Sorrise e rilasciò lungo i fianchi le braccia: le aveva allargate d'istinto, per "mantenersi in equilibrio". Un movimento superfluo, si trovava a casa, perdio.
1 vestiti erano stazzonati, sporchi, sudaticci... eppure la doccia avrebbe aspettato. Scalciò via i Clarks, prese un paio di fogli di carta da una risma e andò a sedersi al tavolo di cucina.
Il pennarello ticchettava duramente sul piano di formica. Accordi e note piovevano come grandine sul pentagramma tracciato a mano libera, in fretta. Per stendere l'intera base musicale impiegò venticinque minuti. Si concesse un bicchiere di Coca-Cola con una fettina di limone e una punta di Bacardi. Il limone lo masticò a lungo, mentre scriveva il testo. Ci mise altri nove minuti. In tutto, facevano trentasei.
Karen, pensò.
Gli occhi di zolfo, la saletta della gelateria. L'appartamento fasullo con le lattine vuote e i supplementi domenicali. Il pavimento che si disgrega, le immagini che svaniscono...
Byrne rimise il cappuccio al pennarello e lo posò sopra il tavolo, di traverso sui fogli. Il Bacardi ingollato a digiuno stava iniziando a fare il suo effetto. Non aveva la più pallida idea di che giorno fosse, e sentiva il bisogno di urlare. Fu il telefono a bloccarlo: al primo squillo gli stroncò la voce in gola. Sputò la fetta di limone nell'acquaio e corse a rispondere.
- Byrne.
- Weymouth.
- Oh... be', salve.
- Salve. Non farò nomi, ma un gruppo è alla ricerca del suo leader.
- Mi dispiace.
- Anche a noi. Cos'hai combinato negli ultimi due secoli?
- Ho scritto un pezzo... Tina?
- Mh.
- Oggi... che giorno è?
- Mercoledì. Ascolta, genio. Ci vediamo da Hugh stasera alle nove. Una barbecue. Okay?
- Okay. - Mercoledì. Quindi era stato via... soltanto un giorno! Avrebbe potuto andar peggio.
- Ah, un'ultima cosa - disse Martina. - Porta gli appunti... sì, di questo brano. Vorrei darci una scorsa, prima di entrare in studio. E passa tu a prendere Jerry. Io vengo con Chris e Jeanie.
- Ricevuto, ammiraglio.
- Ciao. Alle nove.
(...; ...; ...;)
In pieno giorno, gli edifici residenziali di Brooklyn Heights hanno perfino un'aria amichevole. I cento occhi delle finestre lo guardano e salutano.
- Ciao, David.
- Hey, David.
Byrne smonta dal taxi, lascia una mancia sugosa e continua a piedi. E' un'altra giornata chiara e asciutta con le aiuole color ruggine e i rami secchi degli alberi che lanciano ombre reticolari sulle case. Bambini con gli eskimo infilati sopra le tute sfrecciano lungo i marciapiedi, nel fragore degli skate-board. Massaie entrano ed escono dai negozi. Furgoni sostano davanti ai magazzini con i portelloni posteriori aperti. Casse, scatole di cartone, batterie di lattine e falangi di bottiglie scompaiono nei seminterrati.
Byrne prosegue fino al portone di Karen. Giunto là davanti si ferma di colpo: non riesce a muovere un passo. Ora salgo, si dice. Dopotutto, sono solamente tre piani.
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