Non so se sono riuscito a spiegarmi.

Quella fantascienza venne, poi. Credo fosse inevitabile. Emerse in un'ondata ricchissima di nuovi autori e nuove idee, anche se in Italia avremmo dovuto attendere gli anni Settanta. Intanto accadde che "Anthony MacBirthay" pubblicò solo un altro racconto su Oltre il Cielo l'anno seguente; poi scomparve dalla scena fantascientifica. A distanza di tanto tempo sono riuscito a rintracciarlo, per avere la sua autorizzazione a riproporre Una macchina, o che cosa? su Delos: ciò che credo gli abbia fatto gran piacere. Per il rintraccio devo ringraziare proprio l'amico Ugo Malaguti, gentile fornitore di preziose indicazioni. Sono seguite, così, con Antonio Briganti un paio di lunghe e piacevoli conversazioni telefoniche, e alcune e-mail, con la promessa di un suo scritto che ci fornisse sue notizie anche attuali. Il lettore le trova qui di seguito.

Quanto al resto, cosa aggiungere? Che il racconto e quel suo finale possono essere certamente spiegati - dal punto di vista personale, intimo dell'autore - come "l'indagine di una situazione infelice e oscura" (lo dichiara Briganti nella sua nota); ma da un punto di vista meramente letterario, io penso non sia errato interpretare il senso dell'opera come la consapevolezza che effettivamente un che di nuovo, ma ancora indeterminato, inquietante, stesse nascendo attorno a noi in quella lontana epoca, come anch'io vagamente percepivo; magari (con l'occhio di oggi) qualcosa di tecnologico, che sarebbe stato capace di incidere fortemente sulla società e sull'uomo.

[Lettera per il lettori di Delos, da Antonio Briganti]:

Perché e quale fantascienza

Sono nato nel 1944 e da allora, al seguito dei genitori prima, e per vocazione instillata poi, sono passato da città a città: Padova, dove sono nato, Bolzano, che considero la mia vera città sulla Terra, Manerba del Garda, paesino una volta bucolico del quale ricordo campi, acque e una natura dolcissima, e poi Brescia, Milano, Saronno... e altri piccoli paesi dove, sia pure per breve, ho soggiornato.

Gli anni '60 furono un periodo ricco di promesse per chi sognava l'avverarsi dei voli spaziali, la conquista dei pianeti del Sistema solare. Sembrava che un entusiasmo folle ci avesse contagiati tutti. La promessa dell'energia nucleare ci faceva immaginare non lontano il volo su Marte, e forse anche oltre, fino ai satelliti di Giove.

Mai nella mia vita ho vissuto un periodo così ricco di fervore come in quegli anni. Per me il '68 era nello spazio. E così per gli amici più cari di allora: un piccolo gruppo di sognatori che si ritrovavano presso la Specola Cidnea di Brescia, astrofili tutti quanti. Nei giorni pari, se non ricordo male, intrattenevamo il pubblico parlando di stelle, pianeti, comete. La domanda più frequente era, allora: "Quanto dista?". Quel clima, poco o tanto aveva contagiato anche la gente. Nei giorni dispari, invece, la Specola era nostra: e nel buio delle notti le osservazioni della luna, dei pianeti e delle stelle era commentata con discussioni sulle possibilità e sui mezzi con i quali l'uomo un giorno ci sarebbe potuto arrivare.

La prima volta che vidi Saturno con i suoi anelli, tremolante nell'oculare del telescopio, rimasi incapace di parlare e assorbito dalla visione, così remota, eppure vicina paragonata alle stelle della Galassia.

La fantascienza quindi per me era l'estrapolazione dal presente, l'immagine di spettacoli superbi tra le stelle, di mondi lontani da sognare e scoprire, di entità viventi di natura anche diversissima dall'umana. Era anche la possibilità di immaginare una vita senza limiti, quasi l'immortalità viaggiando alla velocità della luce.